Buona la prima. O meglio, bene il primo “ruggito”. Anzi, i primi quattro ruggiti. La Juventus di Antonio Conte, battendo 4 a 1 il Parma (solo otto mesi fa lo stesso punteggio, a parti rovesciate, aveva dato inizio alla fine del progetto Del Neri) cancella quell’immagine di timidezza e di confusione che aveva caratterizzato la scorsa stagione. Si è vista una squadra tenacemente, quasi ferocemente, tesa a dominare il gioco (il possesso palla alla fine si è dipanato quasi con percentuali da Barcellona). Certo, avere Pirlo come playmaker cesellatore è sicuramente meglio che doversi affidare alle geometrie da boscaiolo di un Felipe Melo, che oltre tutto aveva anche il difetto di tenere troppo schiacciata la squadra. Ma al di là della convincente prova del vero top player acquistato da Marotta, il debutto in campionato più che il disegno tattico ha mostrato soprattutto i frutti del lavoro psicologico e mentale compiuto da Conte durante il ritiro estivo. E’ cambiata, in meglio, la mentalità della squadra e il simbolo di questa convinzione ritrovata può essere identificato in Simone Pepe. Basti dire che non ha fatto rimpiangere l’assenza di Krasic (un giocatore che l’anno scorso serviva alla squadra come l’aria). Il serbo comunque non è da bocciare: va aspettato e tutelato, perché un volta che riuscirà a calarsi nello schema tattico voluto da Conte potrebbe diventare un cobra devastante e letale. Ora società e squadra non devono illudersi e farsi prendere dal troppo entusiasmo. Ricordiamoci che solo due anni fa, con Ferrara in panchina, la Juve inanellò quattro vittorie consecutive nelle prime quattro giornate di campionato: si gonfiò il petto come una rospo, ma poi si sgonfiò, prima piano piano poi sempre più velocemente e mollemente. Un “loop” da cui non è uscita fino a tutto l’anno scorso. Dunque, massima concentrazione e cattiveria agonistica, quella che hanno messo in campo Marchisio, Lichtsteiner, Pepe e Vidal. Proprio re Arturo ha dato l’esempio: è entrato, ha morso le caviglie degli avversari, si è conquistato un bel gol con un tiro da fuori area. A Monaco, davanti alla tv, penso che Rummenigge abbia mandato di traverso più di un boccale di birra…
Ma i meriti di Conte si vedono su altri due fronti: la coppia centrale di difesa e Marchisio. Il giovane talento della “cantera” bianconera, che già cinque anni fa in Serie B si faceva passare il pallone per impostare il gioco ottenendo il rispetto e la considerazione dei veterani (Del Piero compreso), negli ultimi due anni aveva subìto una triste involuzione. Troppi esperimenti tattici: mezzala, ala di raccordo, incursore, incontrista, terzo di centrocampo, trequartista. Una confusione tattica che ne aveva tramortito il talento, la grinta e l’acume tattico. Senza dimenticare quelle fastidiose voci sulla sua possibile cessione. E invece Conte che fa? In ritiro ribadisce: “Mi rivedo in Marchisio: ha la mia stessa determinazione e un po’ di classe in più”. Contro il Parma si è rivisto il centrocampista – un po’ Tardelli, un po’ Bonini e un po’ Deschamps – che tutti i tifosi juventini ben ricordavano. Avanti così. Come avanti così bisogna continuare con i due centrali. Barzagli e Chiellini, a parte qualche leggerissima sbavatura che il tempo certamente correggerà, hanno tenuto bene. Pochi interventi leziosi, qualche sano rinvio in tribuna, il costante tentativo di impostare il gioco senza buttar via la palla né senza ricorrere solo al lancio lungo. Detto fin qui dei meriti, non bisogna però dimenticare anche i problemi. Anche qui, due sopra tutti: la corsia sinistra e il movimento degli attaccanti. Sulla fascia mancina De Ceglie è ancora troppo timido, sia nella fase difensiva che nell’impotazione a sostegno dell’ala sinistra. In questo ruolo Giaccherini non ha sfigurato: diciamo, una pagella senza infamia e senza lode. Ma vista l’intraprendenza sulla corsia opposta di Pepe e Lichtsteiner, per non diventare troppo monotono il gioco della Juve deve potersi sviluppare anche sulla sinistra. Intanto Conte, in vista della trasferta di Siena, deve trovare un sostituto allo squalificato De Ceglie: la rosa dei nomi è ristretta solo a Grosso, che si ritrova così a rivivere la stessa parabola dell’anno scorso: inizialmente fuori dal progetto, poi ripescato per cause di forza maggiore, quindi titolare fisso per assenza di valide alternative. Alternative che invece a Conte non mancano per il ruolo di esterno alto sinistro: oltre ai neoacquisti Elia ed Estigarribia, l’allenatore può anche provare Quagliarella, che l’anno scorso, finchè è rimasto in campo prima del grave infortunio patito proprio contro il Parma, è stato uno dei più continui e positivi, proprio nel ruolo di raccordo fra centrocampo e attacco.
E proprio sugli schemi offensivi, nonostante i quattro gol – realizzati tra l’altro da un terzino, due centrocampisti e un esterno -, c’è da lavorare di più. Troppe volte infatti i due attaccanti (Matri e Del Piero) nel primo tempo sono stati anticipati dai difensori avversari, vanificando così trame di gioco che avrebbero potuto svilupparsi con maggiore ariosità, efficacia e pericolosità. Mentre Vucinic e Krasic devono imparare a non abbassare mai la guardia della concentrazione. Per ora, solo dettagli tattici e comportamentali, da correggere subito perché non bisogna farli diventare, con il tempo, delle vere e proprie “tare”. Perché la parola d’ordine, quest’anno, è una sola: ruggire. Sempre e contro qualunque avversario.