Orgoglio e delusione, juventinità ritrovata ma tre punti lasciati per strada. Ha avuto proprio ragione Antonio Conte: attenti ai facili entusiasmi, attenti al Bologna, attenti a una partita che non è così facile come può sembrare sulla carta. E purtroppo così è stato. Si poteva allungare a +8 sull’Inter e a +7 sul Milan riassaporando una vetta solitaria della classifica che non si respira da almeno tre anni e mezzo. Invece un colpo di testa di Portanova ha chiuso la porta in faccia al primo momento di gloria della stagione bianconera.
Però nel giorno in cui la Juve smarrisce la via della vittoria (è comunque impensabile pensare di vincere sempre, anche se nella nostra tradizione, come ci ricorda Boniperti, vincere è l’unica cosa che conta e per fortuna è successo assai spesso), la squadra di Conte ha ritrovato il vecchio orgoglio bianconero. Questa partita, giocata per 50 minuti in inferiorità numerica, ha consegnato agli occhi del campionato e dei tifosi juventini una sola immagine: la Vecchia Signora è tornata. Dopo Parma (prova convincente contro una squadra oggettivamente debole) e Siena (partita più difficile, con qualche amnesia), la sfida con il Bologna ha evidenziato che questa squadra ha un cuore. E ha pure un gioco, a sprazzi anche un gioco efficace. 
Due punti fermi importanti, in attesa che il lavoro, la grinta, la determinazione e l’umiltà predicate da Conte tornino a trasformarla nella Signora Omicidi, come veniva definita ai tempi di Trapattoni, a metà degli anni 70-80, quando si collezionavano scudetti e trionfi con una capacità di “uccidere” le partite degna del miglior Clint Eastwood.
Nel primo tempo il Bologna ha cercato di soffocare sul nascere le geometrie di Pirlo, vero catalizzatore della manovra juventina. Un pressing coraggioso che ha messo un po’ di polvere negli ingranaggi bianconeri, inceppandone i meccanismi e la fluidità. Si soffre soprattutto quando la costruzione del gioco passa da Chiellini, a volte troppo lento e macchinoso nell’impostazione. Un difetto rimediabile.
Meno grave comunque della doppia leggerezza commessa da Vucinic: prima una protesta eccessiva su una decisione dell’arbitro neppure troppo discutibile, poi un fallo tattico a centrocampo non indispensabile. Risultato? Un cartellino rosso che ha macchiato una prestazione ancora improntata a una certa indolenza, pur impreziosita da un gol di rapina e di esperienza. Una leggerezza pagata cara a inizio ripresa, quando il Bologna – forse con eccessiva sicumera e forse convinto di trovarsi ancora di fronte la Juve molle dello scorso anno – ha cercato di fare bottino pieno.

La Juve ha vacillato, nelle certezze appena riconquistate e nel gioco, improvvisamente diventato più balbettante e insicuro. Capita in 10 contro 11. Tanto più che De Ceglie compie una vera e propria sciocchezza calcistica, regalando così di fatto l’opportunità al Bologna di pareggiare i conti. La squadra di Conte sembra sul punto di soccombere, per qualche minuto si rivedono i fantasmi del passato. Ma il passato di Antonio Conte è costellato di imprese, di grandi rimonte, di squadre soggiogate. E scocca la scintilla giusta: l’uomo in meno regala un surplus di determinazione, di cattiveria agonistica che consente di superare l’inferiorità numerica.
La Juve aggredisce gli spazi, ha una reazione leonina, divora letteralmente l’erba dello Juventus Stadium. Sul piano fisico, psicologico e tattico torna la “solita” Juve, quella ammirata prima di Farsopoli. Non si contano le sgroppate di Lichtsteiner, Barzagli chiude ogni spiffero, Chiellini torna a giganteggiare sulle palle alte, De Ceglie vince un po’ la timidezza (ma la fascia sinistra resta ancora il tallone d’Achille della squadra): la difesa alza il baricentro, accorcia le distanze fra i reparti, supporta i due centrocampisti.
E qui Pirlo sale in cattedra: si smarca, dribbla, tira, lancia, ricama, cesella, pennella, ricuce. Una delizia. Marchisio getta il cuore oltre l’ostacolo, finchè i polmoni lo sorreggono. Pepe tiene fede al suo cognome, correndo su e giù per la fascia di competenza (Conte inverte spesso gli esterni alti). Anche Giaccherini, quando entra, si comporta meglio rispetto alle due precedenti partite: l’emozione comincia a diradarsi e si intravedono i colpi di cui è capace, quelli visti l’anno scorso nel Cesena.
E Krasic? E’ sulla buona strada. Il serbo non è sotto esame, ha detto a fine partita Conte, ed è giusto che sia così. Non è più il turbo che sfreccia nel 4-4-2 classico sfruttando esuberanza e velocità. Oggi Conte chiede tempi di inserimento tatticamente più accorti. Un paio di volte Krasic li ha eseguiti: la prima volta ha impegnato Gillet con un tiro a rientrare dal limite dell’area, la seconda – imbeccato da un colpo di genio di Pirlo – ha accarezzato il palo. Ma il tempo delle carezze è finito: la Zebra ha mostrato gli artigli. Non ancora ben affilate, ma pronti già domenica a graffiare di nuovo.