Per ora l’anti-Juve, almeno nel campionato italiano, non c’è ancora. Doveva essere il Napoli, guidato dai suoi tre tenori, ma i bianconeri in versione All Blacks sono stati tatticamente bravi a scompaginare gli spartiti partenopei e la squadra di Mazzarri ha così steccato il big match, stonando proprio là dove era considerata più forte. Il trio d’attacco Cavani-Pandev-Hamsik non ha infatti costruito una sola palla-gol, ha praticamente tirato in porta una sola volta in 90 minuti (nel primo tempo, in occasione della bella punizione calciata sull’incrocio dei pali dal centravanti uruguagio). Per il resto, Storari spettatore in più allo Juventus Stadium, sterile possesso palla, senza verticalizzazioni né cambi di passo. Oltre tutto – come già si era visto a Pechino nella Supercoppa italiana – gli azzurri sono micidiali soprattutto nelle ripartenze: amano farsi aggredire dagli avversari, poi, una volta riconquistata palla, sfruttano al meglio la velocità e la potenza del proprio reparto offensivo. Ma la Juventus non lo ha mai concesso, limitandone così la pericolosità e ridimensionandone anche le ambizioni.

Intanto la Juventus continua nella sua striscia d’imbattibilità, raggranella sei punti in più rispetto allo scorso anno (22 anziché 16), si conferma miglior attacco del campionato e – proprio scavalcando il Napoli con questo 2-0 – diventa anche la miglior difesa del torneo: solo quattro gol subìti in otto partite.

Tutti questi meriti, poi, sono stati ottenuti con una sagacia tattica che dimostra ancora una volta la maturazione della squadra di Conte. L’anno scorso tutto era frutto di una rabbiosa determinazione agonistica, di un gioco arrembante, di un dispendio di energie fisiche fin quasi allo sfinimento. Ora non è più così: quella Juventus, che oggi ha acquistato maggiore consapevolezza nei propri mezzi, si vede solo a tratti, in certi frangenti, quando la situazione lo richiede, al limite (vedi la partita con il Genoa) quando viene provocata dall’intraprendenza degli avversari. L’anno scorso tutto ruotava attorno alla sontuosa regia di Pirlo: calamitava tutti i palloni, era il fulcro del gioco, dettava ininterrottamente i ritmi, apriva sulle fasce, verticalizzava per le punte, assecondava con passaggi filtranti gli inserimenti di centrocampisti ed esterni. Ora non è più, o meglio, non è sempre così.

Gli avversari hanno imparato a francobollare Pirlo, lo marcano a uomo. Ma ieri per il Napoli questa mossa tattica è stata la prima, e più evidente, del loro harahiri. Per neutralizzare Pirlo l’allenatore Mazzarri ha dovuto sacrificare Hamsik, cioè ha tolto l’elemento d’assalto dei suoi tenori. Lo slovacco si è così trovato emarginato dal gioco e la sua assenza ha condizionato un Pandev tutto fumo e niente arrosto, mentre Cavani, pur battendosi come un leone, si è trovato di fronte un sontuoso Bonucci (attento in difesa e sempre più bravo nel dettare il gioco, anche se deve limitare la tendenza a lanciare lungo), un implacabile Barzagli e un coriaceo Chiellini. Insomma, ha sbattuto sempre contro un muro, impossibilitato a duettare con i compagni di reparto.

La seconda mossa micidiale che ha consentito alla Juventus di non farsi pungere dal Napoli è stato il rigore tattico con cui la squadra bianconera ha giocato tutti i 90 minuti, senza mai disunirsi, a costo anche di lasciare la supremazia territoriale agli avversari. Linee corte, reparti mai slegati, due esterni attenti a non sguarnire le fasce (splendido Asamoah a non farsi mai scappare via o a farsi saltare da Maggio; anzi, più volte è addirittura accaduto il contrario, e ciò ha un po’ disorientato i partenopei, costringendo Behrami e Inler a raddoppi di marcatura e a recuperi dispendiosi). Mai il Napoli ha potuto giocare come preferisce, non ha mai trovato davanti a sé praterie da arare: sempre spazi chiusi o angusti, che hanno soffocato sul nascere i rifornimenti dei centrocampisti verso le punte. Spesso infatti i napoletani erano costretti a velleitari passaggi laterali o addirittura ad appoggiare all’indietro il pallone nel vano tentativo di stanare una Juventus guardinga e pronta a sfruttare ogni indecisione. 

Peccato – e non è la prima volta che dobbiamo sottolinearlo – che oggi la Juve non abbia una coppia d’attacco degna della sua forza di squadra: Giovinco si dà molto da fare, ma paga la sua leggerezza; Quagliarella sembra prigioniero del suo passato e della sua rabbia: vorrebbe spaccare il mondo, dimostrare tutto quel che vale, ma il più delle volte sbaglia anche le cose più elementari per un attaccante (per esempio, tenere palla per far salire la squadra); Matri, infine, sembra aver smarrito le sue qualità di finalizzatore: Pirlo e Giovinco lo hanno messo due volte nelle condizioni di far male a De Sanctis e lui ne ha cavato due tocchi innocui e sbilenchi. Anche Vidal sembra aver smarrito le sue doti di guerriero e di pretoriano: recupera meno palloni e dà l’impressione di vagare spesso a vuoto dal punto di vista tattico.

Le carte vincenti sono così state calate sul tavolo dalla panchina: da un paio di sostituzioni (una di cui ci siamo rammaricati, cioè Caceres al posto del travolgente Asamoah; l’altra, ben più apprezzata, cioè Pogba al posto di un Vidal più gattone che tigre) sono scaturiti i gol che hanno abbattuto il Napoli: Caceres di testa e Pogba con un sontuoso e millimetrico tiro al volo da fuori area. Due ruggiti da Juve per rimandare a casa – con le pive nel sacco – il presuntuoso e un po’ scalciante “ciuccio” napoletano.