C’è del molle in Danimarca. Bisogna rifarsi a Shakespeare per raccontare e cercare di capire il brutto e inatteso terzo pareggio in tre partite di Champions League ottenuto dalla Juventus. Gagliardo quello contro il Chelsea, fortunato quello con lo Shakhtar Donetsk, troppo soffice questo a Copenhagen in casa dei campioni danesi. La Juve scolpita nel marmo e dura come la selce che senza pietà piega gli avversari demolendoli lentamente ma inesorabilmente, in Europa s’intenerisce troppo, diventa cedevole, morbida, inconsistente. In pratica la squadra di Alessio regala agli avversari il primo tempo intero. Approccio alla partita da dimenticare: giocatori lenti, poco concentrati, mai ficcanti. Si passeggia in campo, mentre i piccoli giocolieri del Nordsjaelland – pigiando un po’ sull’acceleratore, mettendo in mostra una buona tecnica individuale e puntando sulla giusta dose di entusiasmo – riescono a giocare alla pari. Anzi, vincono nel possesso palla e creano alcune situazioni pericolose: un’uscita di Buffon fuori dall’area con parata di petto da brivido per bloccare John lanciato in contropiede e un paio di tiri dalla distanza dopo aver creato, con palleggi stretti rasoterra, superiorità numerica contro la difesa juventina. La Juventus cerca di rispondere andando al piccolo trotto, ma è costretta sempre a inseguire il pallone giocato dai piedi altrui. Né Pirlo, né Vidal, né Marchisio né i due esterni – Isla a destra e De Ceglie a sinistra – riescono a imprimere la svolta. I due attaccanti poi – Matri e Giovinco – si ritrovano sì un paio di buoni palloni a tu per tu con il portiere avversario, ma sprecano debolmente e nel complesso la squadra non morde il campo né gli avversari. Molto probabilmente proprio in Europa più che in campionato i bianconeri sentono la mancanza in panchina del loro condottiero: in partite simili – lo si è visto più volte l’anno scorso – Conte urla, strepita, richiama, incita, sprona senza sosta, soprattutto non accetta mai un atteggiamento supino e arrendevole. Che invece si è ripetuto a Copenhagen (tra l’altro in una partita che si doveva assolutamente vincere) dopo gli spaventi già vissuti allo Juventus Stadium contro gli ucraini dello Shakhtar. Senz’altro sta pesando l’inesperienza di alcuni giocatori che si ritrovano per la prima volta sulla ribalta della Champion’s (ma questo vale ancor di più per i danesi). Sicuramente ha inciso la presenza sulla fascia destra di due giocatori che hanno pochi minuti nelle gambe, cioè Lucio e Isla (che comunque crescerà nella ripresa, acquistando maggiore sicurezza); purtroppo si riconferma il fatto negativo che, assente Vucinic, nessun attaccante della Juventus è in grado di far bene il proprio compito. Proteggere la palla per far salire la squadra sembra un’impresa titanica: c’è sempre un rimpallo sfavorevole, un tocco maldestro o un dribbling di troppo a vanificare tutto. Ma questi sono difetti che non ci si può permettere a certi livelli. E con gli alibi e le giustificazioni non si va avanti, soprattutto in competizioni come la Champions League. Anche il secondo tempo parte malissimo: dopo 5 minuti, prima Pirlo, poi De Ceglie toccano sulla trequarti un pallone sporco, che carambola verso Chiellini, il quale – ripetendo un errore in cui casca sovente – anziché avventarsi sul pallone per appoggiarlo a Buffon o a un altro compagno oppure scaraventarlo il più lontano possibile, va sul giocatore avversario – in questo caso Laudrup – facendo ostruzione e alzando troppo il gomito. Risultato? Giallo al Chiello e calcio di punizione dal limite regalato, punizione da cui tra l’altro scaturisce il vantaggio del Nordsjaelland. A quel punto, da partita facile, il match diventa una parete di quinto grado. La Juve almeno reagisce, diventa più aggressiva, inizia a premere sugli avversari, schiacciandoli nella propria metà campo (cosa che la squadra avrebbe dovuto fare dal fischio d’inizio). E Hansen compie almeno quattro interventi prodigiosi: su Giovinco di testa, ancora su Giovinco dopo un tiro in diagonale, su botta di Isla dal limite e su tocco ravvicinato velenoso di Vidal. Sembra di vedere il Sorrentino del Chievo, sembra che la porta sia stregata. Meno male che ci pensa il solito Vucinic a togliere parzialmente le castagne dal fuoco (parzialmente, perché il pari salva sì l’imbattibilità, ma inguaia la Juventus in classifica: è terza nel girone eliminatorio). Velocemente, infine, la prova dei singoli. Buffon incolpevole sul gol e reattivo nel salvataggio su John, poi per il resto una serata tranquilla. Lucio ha palesato le incertezze del pre-campionato; Bonucci troppo serafico; Chiellini troppo arruffone. Isla così così nel primo tempo, meglio nella ripresa per incisività e pericolosità; De Ceglie in evidente e preoccupante involuzione (sente troppo l’impari concorrenza con Asamoah e Caceres?); trio di centrocampo Pirlo-Marchisio-Vidal sotto gli standard abituali; coppia d’attacco poco incisiva e inconcludente. Quanto ai sostituti entrati dalla panchina, bene Vucinic, in progresso Bendtner (si mangia un gol di testa solo davanti ad Hansen, ma duetta alla grande smarcando Vidal nell’area del Nordsjaelland), ingiudicabile Giaccherini. In conclusione, questo miagolio di Copenhagen va subito messo nel cassetto. Allo Juventus Stadium contro i danesi bisognerà far tornare la criniera al vento: urge ritrovare bel gioco, crudeltà agonistica e – soprattutto, guai a fallire! – tre preziosissimi punti.



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