La sconfitta della presunzione, una sconfitta che farà molto bene alla Juventus. Bruciante, dolorosamente bruciante, ma salutare, assai salutare. Una sconfitta che arriva dopo 49 risultati utili raccolti dagli uomini di Conte, ma anche dopo un paio di partite – Catania e Bologna – in cui la Juventus non era più la Juventus che avevamo ammirato lo scorso anno. Anziché correre, camminava; anziché aggredire, aspettava gli avversari; anziché intimorire, era molle nei contrasti, quasi aristocratica nell’approccio alla partita; anziché far girare la palla di prima, massimo due tocchi, in velocità e in profondità, eccola perdersi in mille passaggi laterali, giocando con leziosità eccessiva e poco cattiveria; anziché un sinfonico movimento corale, una squadra che si muoveva come le belle statuine (cioè statica e svogliata). Insomma, una Juventus poco leonina. E l’Inter dei tre tenori in attacco, ma operaia in difesa e a centrocampo, ha messo a nudo questa involuzione.
Da qui nasce una sconfitta che deve far riflettere lo staff tecnico e la squadra stessa: ora bisogna assolutamente ripartire dal “credo” tattico e agonistico dell’anno scorso. Vanno bene i calcoli, il turnover, il pensiero di non bruciare troppe energie visto il doppio impegno campionato-Champions, ma la Juventus è tale se non dà tregua, respiro agli avversari: è il suo Dna, è il destino cui Conte pare averla condannata, ma che l’ha fatta amara da tifosi e appassionati di calcio.
La partita si era messa benissimo per la Juventus, in vantaggio dopo neanche un minuto con una splendida azione, seppure viziata da un errore marchiano del guardalinee Preti, che – causa eccessiva velocità della manovra ficcante bianconera – non segnalava il fuorigioco, netto, di Asamoah, dal cui piede poi sarebbe partito l’assist per il gol di Vidal. In tutto, 18 secondi, 18 secondi di rara bellezza calcistica, in cui si è vista – come un lampo accecante, ma isolato – tutto quello che di buono aveva sempre fatto vedere il gioco di Conte: appoggio di Bonucci a Chiellini, apertura esterna su Marchisio che tagliava di prima verso Vucinic; finta del montenegrino per smarcare Giovinco, che restituiva palla con un triangolo delizioso allo stesso Vucinic, il quale toccava di punta per lanciare Asamoah verso la porta avversaria. Di quei 18 secondi iniziali, i primi 15 sono stati da vera Juventus, quella forgiata l’anno scorso da Conte. Nei dieci minuti successivi, due pennellate millimetriche di Pirlo mettevano Marchisio solo davanti ad Handanovic: nella prima, tiro un po’ svirgolato e buona reattività del portiere nerazzurro; nel secondo, Marchisio stoppava bene il pallone ma poi, pretendendo di tirare al volo in equilibrio precario, na cavava un appoggio innocuo verso il numero uno sloveno.
Da quel momento è scattato un black out totale della Juventus. Merito senz’altro dell’Inter, energica, ben messa in campo, più vogliosa. Tra i bianconeri si è spento quel briciolo di furore che avevano lasciato intravvedere i primi 18 secondi di partita. La squadra arretrava, aspettando gli avversari, e ripartiva senza convinzione. Comunque, tenendo corta la squadra, la Juventus lasciava sì campo all’Inter, ma non subiva occasioni pericolose, eccetto un tiro dal limite di Cassano fuori d’un soffio: Buffon, come contro il Catania e il Bologna, non veniva mai impegnato seriamente. Dall’altra parte, una buona discesa di Asamoah e un tiraccio di Vidal. Fuochi di paglia, però.

Eh sì, perché nella ripresa, anziché assistere al risveglio bianconero, la Juventus perdeva lentamente e inesorabilmente le misure, mentre l’Inter acquistava sicurezza e pericolosità. Così sono arrivati i tre gol: il primo su rigore netto, gli altri due su errori di Vidal e di Chiellini che aprivano un’autostrada al contropiede nerazzurro.
L’Inter ha vinto con merito, e su questo non ci piove. Ma la Juventus “quanto” ci ha messo di suo per non vincere? La presunzione è un nemico pericoloso nello sport e forse l’idea di essere invincibili, di essere capaci di rimontare in qualsiasi situazione avversa, si è trasformata in una gabbia mentale che ha intorpidito i muscoli e fiaccato il carattere di questa squadra: un inceppamento generale che le ultime prodezze di Pogba avevano nascosto. Contro l’Inter invece l’alibi è caduto.
Ora si tratta di capire come ripartirà una squadra abituata a non perdere mai. Conte è uomo di campo e di esperienza tale (ha vissuto momenti esaltanti e sconfitte ancora più brucianti di questa) che saprà sicuramente trovare gli antidoti giusti per battere questa fiacchezza. E l’occasione è vicina: mercoledì contro il Nordsjaelland.
Per una volta, è inutile dare un giudizio sulla prova dei singoli, tutti accomunati da un voto tra l’insufficienza e la sufficienza risicata, visto che nessuno ha avuto acuti tali da alzarne la media.
Comunque, cari juventini, sursum corda: il peso dell’imbattibilità è caduto e ora che siamo più “spensierati” (ops, chissà se ci perdonerà Stramaccioni…) possiamo tornare a giocare con più fame, pronti ad azzannare ancora campo e avversari.