Sgombriamo subito il campo: per sessanta minuti il Milan ha meritato di portare a casa il risultato, penalizzato anche da una svista – non arbitrale ma del guardalinee Romagnoli – molto evidente alla moviola, ma meno se giudicata a velocità naturale, vista la prontezza di riflessi con cui Buffon ha smanacciato il pallone fuori dalla porta dopo il colpo di testa ravvicinato di Muntari. Poi, negli ultimi trenta minuti, un Milan sfiancato ha dovuto lasciare campo a una Juve comunque non esaltante, ma generosa, che ha così raggiunto un pareggio alla fin fine per nulla scandaloso (Galliani e Allegri si mettano il cuore in pace…).
In fondo, la Juve ha tenuto più palla, ha tirato in porta come il Milan e può recriminare per una mancata espulsione (il pugno di Mexes sul fianco di Borriello) e l’ingiusto annullamento del (primo) gol regolare di Matri. E poi, in quante altre occasioni le grandi squadre hanno ottenuto punti pesanti e preziosi proprio giocando non al meglio? Una partita più vibrante che bella, come spesso accade quando viene troppo caricata di attese, in cui per un’ora abbondante (e soprattutto nel primo tempo) il Milan ha giocato da Juve, cioè gettando in campo quelle armi che finora avevano caratterizzato il Dna e il cammino dei bianconeri: grinta, ritmo, pressing, velocità, fraseggio, inserimenti. L’assenza di Ibrahimovic, che funge da faro e da boa del gioco milanista ha tolto, da un lato, un punto di riferimento obbligato alla Juventus (resta il sospetto che per gran parte della settimana Conte abbia preparato tatticamente la partita come se lo svedese potesse scendere in campo), mentre dall’altro ha fatto sì che chi è stato schierato da Allegri desse non il 100% ma il 110%. Basti pensare a quel che ha fatto per 70 minuti Robinho o come El Shaarawy con grande abnegazione si sia prestato a fare pressing su Lichtsteiner o Vidal quando cercavano di impostare le ripartenze juventine. Detto del Milan, e reso merito ai suoi grandi meriti (chi ora prenderà ancora in giro il nostro allenatore, che da mesi va sbandierando che “loro” sono i grandi favoriti per la vittoria finale?), la sfida con il Diavolo rappresenta una sorta di spartiacque del campionato della Vecchia Signora. Innanzitutto, sul piano fisico-atletico.
La partita con il Milan ha detto che i rossoneri al momento sono più prestanti e vivaci. Mai finora gli juventini erano stati sorpresi e superati nei contrasti e negli anticipi, ma a San Siro la squadra di Conte ha denunciato mollezza nei tackle, pressapochismo negli appoggi (l’inizio di Bonucci è stato a dir poco traumatizzante, per lui, per la difesa e per l’intera squadra), lentezza di riflessi e nell’arrivare sulla palla, scarsa brillantezza. E’ vero che il Milan ha dovuto spendere molto per reggere i ritmi iniziali, ma la Juve ha messo in mostra solo la solita immensa generosità, il carattere di ferro e una buona preparazione sul fondo, corroborata anche dall’inserimento di Pepe, che si è dimostrato ben più vivace e ficcante di un Estigarribia che si è dimenticato di cosa vuol dire correre e mangiare l’erba.

L’immagine più nitida della fatica bianconera sono i due interni. Vidal è così annebbiato che più volte è stato recuperato con il pallone tra i piedi, non riesce più a recuperarlo agli avversari con la continuità che gli viene riconosciuta, non ha più gamba per gli inserimenti, tenta troppe volte il tiro anche quando sarebbe meglio aprire il gioco sulle fasce e – last but non least – la scarsa condizione atletica lo innervosisce fuori misura (il fallaccio su Van Bommel è stupido e gratuito: se fallo tattico doveva essere, era meglio trattenere l’avversario per la maglia, così avrebbe beccato solo il giallo).
Anche Marchisio soffre, da un po’ di domeniche, una scarsa condizione, ma grazie alla sua intelligenza ciò che perde in pericolosità offensiva non lo disperde comunque in sagacia tattica: aveva di fronte un Nocerino straripante, ma non si è fatto travolgere e ha comunque garantito un’efficace copertura e un buon equilibrio al centrocampo bianconero. Morale: mancano 14 partite, poco più di un terzo di campionato, la primavera si avvicina e urge recuperare brillantezza e cattiveria fisica, altrimenti si andrà incontro a partite difficilissime e pericolose. Punto secondo: la chiave tattica.
Conte è partito con il 3-5-2, che vede come l’abito giusto per questa squadra. Ma il Milan, giocando corto, lo ha messo in difficoltà, anche perché Lichtsteiner tendeva troppo a schiacciarsi all’indietro, mentre Estigarribia giocava con eccessiva sufficienza, tanto che i due terzini del Milan, anziché essere pressati, diventavano il primo punto di riferimento per la costruzione del gioco. Poi Conte ha corretto il modulo con il 4-3-3, inserendo Pepe (che sembra tornato ai livelli di inizio campionato), Matri (sempre più simile a Trezeguet: ha toccato due palloni e ha segnato due gol regolari, anche se uno annullato) e Vucinic (qualche tentativo di saltare l’uomo, ma nel complesso penso che Quagliarella sia più utile e decisivo in quel ruolo di esterno alto di sinistra). 

Conte ha ammesso che le scelte finali le compie il giorno stesso in cui si disputa la partita, tra le sei e le nove del mattino. Contro il Milan, evidentemente, ha posato il piede sbagliato, ma fortunato. Nelle prossime 14 partite, però, sarà meglio che decida bene con quale piede scendere dal letto (e quale modulo schierare), perché non si potrà più regalare un tempo agli avversari (anche se da qui alla fine sarà difficile affrontare squadre forti, fisicamente, tecnicamente e tatticamente, come il Milan).

Ultimo punto: l’aspetto psicologico. I rossoneri avevano a disposizione un solo risultato utile: vincere. La Juve poteva anche pareggiare. Certo, battere il Milan a San Siro sarebbe stato come sferrare un pugno da ko alla Mike Tyson. La Juve avrebbe fatto il pieno di entusiasmo e di coscienza dei propri mezzi, avrebbe potuto scavare un solco potenziale di cinque punti di vantaggio, mentre i rossoneri sarebbero usciti dal campo pieni di dubbi e di preoccupazioni, costretti a un affannoso inseguimento. Invece il modo in cui è stato ottenuto questo pareggio si presta a più interpretazioni e sviluppi. Ai milanisti lascia l’impressione che in questo momento abbiano qualcosa in più della Juve, ma gli stessi rossoneri hanno dovuto assaggiare la coriacea caparbietà con cui la Juve sa reagire. Per i bianconeri c’è la conferma che l’unica strada percorribile per fare tanta strada in campionato sia soffrire, non cedere mai, gettare il cuore oltre l’ostacolo, non arrendersi di fronte a nulla e a nessuno. Ma oggi la Juve di quante riserve di energia (fisica e mentale) dispone per reggere a queste condizioni?

Per fortuna, partite così “cariche” non ce ne saranno più (anche le sfide con Fiorentina e Inter avranno un grado di surriscaldamento ben più basso) e già con il Chievo sabato prossimo, poi nel recupero con il Bologna del 7 marzo, si potrà misurare lo stato di salute della Juve. Ma per fugare ogni dubbio e per spegnere sul nascere velleità e ambizioni degli avversari servirà subito una scossa, un segnale di ritrovata forza. Insomma, un bel ruggito.