E se fosse finita 4-0 per la Juventus? Nessuno avrebbe avuto nulla da ridire. Un dominio assoluto: in pratica la Juve ha giocato 80 minuti nella metà campo avversaria, ha effettuato una quindicina di tiri verso la porta, ha costretto Frey ad almeno tre ottime parate, ha colpito una traversa e due pali, si è vista annullare un gol regolare e non le è stato concesso un rigore netto. La partita, in estrema sintesi, si può riassumere così. Insomma, tanta Juve e tre spruzzatine di Genoa: la prima dopo soli dieci secondi (grande intervento di Buffon su un pallonetto di Palacio), la seconda a metà della ripresa con Gilardino, che dopo aver superato lo stesso Buffon, spara oltre la traversa, e l’ultima, al 92° minuto, quando Marco Rossi non fa nulla per saltare Pirlo, che lo anticipa netto sul pallone, anzi, trascina la gamba per impattarla con quella del centrocampista juventino che si affretta invece a ritirarla, chiedendo un rigore che poteva evitare.
Ma iniziamo dalla partita. La Juve è costretta ad affrontarla in piena emegenza nel reparto difensivo: le mancano contemporaneamente Barzagli, Bonucci e Chiellini, cioè i tre centrali titolari. Conte, per ovviare alle pesanti assenze, conferma al centro Caceres (buona partita la sua, contro un avversario ostico e fisico come Gilardino, ma se la cava egregiamente anche quando incrocia il più sgusciante Palacio) e poi si inventa Vidal come compagno di reparto. Il cileno, che sembra aver ritrovato una buona condizione atletica, parte con una certa timidezza, ma già dopo una decina di minuti fa valere la sua proverbiale grinta agonistica e mostra tatticamente un discreto senso della posizione. Oltre tutto, in più di un’occasione, si inventa anche primo play maker delle ripartenze bianconere. Sulle fasce sia Lichtsteiner che De Ceglie garantiscono una buona spinta e un’efficace copertura. Insomma, sugli out esterni il Genoa non riesce mai a rendersi pericoloso, anche se Jankovic si impegna a fondo per impegnare i difensori juventini.
I primi venti minuti della partita vengono giocati a cento all’ora da tutte e due le squadre. La prima occasione, subito dopo il fischio d’inizio, capita appunto al Genoa, ma pochi minuti dopo Giaccherini su cross di Pepe e Marchisio su (splendida) imbucata di Vucinic si presentano davanti a Frey: il primo tocca troppo verso l’esterno, il secondo impatta al volo ma centrale, prendendo in pieno il portiere rossoblù.
La partenza bruciante però sortisce effetti opposti: il Genoa brucia energie fisiche e nervose che poi piano piano farà sempre più fatica a spendere (Kucka e Biondini finiscono con i crampi), mentre la Juve, giocando finalmente contro una squadra che non si chiude a riccio ma accetta la sfida a viso aperto, ritrova tracce di gioco che aveva ultimamente smarrito. Via via i bianconeri prendono sempre più saldamente le redini del gioco e della partita. E qui arrivano le note più liete di una giornata che lascia molto amaro in bocca solo per il risultato.
Infatti sul piano della manovra, e del ritmo, la Juve è come se fosse tornata indietro di qualche mese, quando schiacciava gli avversari concedendo loro solo le briciole. Merito soprattutto del centrocampo, che ha ritrovato la condizione atletica, e non solo quella. A parte Pirlo (non ci sono più parole per elogiarne la classe, l’impegno e l’inventiva), contro il Genoa si è rivisto un grande Marchisio, che ha recuperato scioltezza e brillantezza: un paio di inserimenti offensivi sono stati da manuale per tempismo e fluidità di corsa e in un altro paio di occasioni i compagni lo hanno visto e servito con un attimo di ritardo. Pepe, dal canto suo, si è riappropriato alla grande del suo ruolo di esterno offensivo a tutto campo: spinge come un ossesso, rientra per dare una mano alla difesa, si inserisce come un coltello nel burro della difesa (peccato per il palo e il gol annullato, sarebbero stati un suggello meraviglioso a una partita di grande quantità e qualità). Sull’out sinistro, poi, Giaccherini ha confermato la buona maturazione in atto da inizio stagione: messe da parte le ovvie timidezze legate al salto da una provinciale a una grande quadra blasonata, il Giacc è un moto perpetuo capace di creare superiorità numerica e di infilarsi negli spazi.
E in attacco? A parte i goal (e il dettaglio non è certo insignificante), niente da dire, anzi, contro il Genoa si è visto un Vucinic che ha giocato un primo tempo mostruoso e un Matri che le ha tentate tutte per liberarsi al tiro. Quanto agli innesti, Elia è entrato troppo molle e Del Piero (cari Conte e Alessio, un quarto d’ora concesso al Capitano è poco…) troppo smanioso di fare il salvatore della patria: entrambi, quindi, non hanno inciso come ci si aspettava sulla gara. Ma complessivamente per numero di occasioni limpide create e di tiri verso lo specchio della porta la squadra di Conte non ha proprio nulla da rimproverarsi.
Un rimprovero invece va a Rizzoli e ai guardalinee: capiamo la pressione cui sono sottoposti gli arbitri, ma un rigore come quello su Matri e un gol come quello segnato da Pepe, pur se difficili, non erano così impossibili da vedere a velocità naturale.
Ora la Juve è in silenzio stampa. E in silenzio è giusto che prepari le prossime quattro partite. Sarà un ciclo di ferro: Fiorentina, Milan (per la Coppa Italia), Inter e Napoli. Se la sfida con il Genoa era una sorta di Capo Horn del campionato bianconero, la Juve ha saputo doppiarlo alla grande. Le tempeste delle ultime settimane – scarsa condizione, titubanze tattiche, giocatori molli, allenatore e società nervosamente polemiche – sembrano proprio alle spalle. E il calcio, come il tempo, è galantuomo: vuoi mettere che ciò che abbiamo “perso” in questo ultimo mese e mezzo lo ritroviamo, magari con i giusti interessi, nelle prossime partite, con squadre che vorranno – finalmente – giocare alla pari con la Juventus? Il tempo dei ruggiti non è certo finito.