Un ostacolo impervio superato senza dover spendere troppe energie, fisiche e mentali. Le trasferte a Firenze sono sempre state molto ostiche per la Juventus, ma l’espulsione di Cerci ha certamente semplificato tutto. Alla fine la Juve torna da Firenze con i tre punti, la via del gol ritrovata (in Spagna sarebbe chiamata una “manita”) con gli interessi e avendo disputato poco più che un buon allenamento anziché una partita tirata fino all’ultimo.

Eppure i timori della vigilia erano tanti. Per i tifosi viola questa era la partita dell’anno (vincere voleva dire dare un senso a una stagione difficile e tormentata). Non solo: dopo lo zero a zero con il Genoa e il lungo strascico di polemiche che ne sono seguite, Conte e la Juve dovevano dimostrare di saper gestire un momento delicato della stagione.

A Genova la squadra ha ritrovato lo spirito giusto, è tornata a imporre la propria personalità in campo, si sono riviste le geometrie pulite di inizio stagione e anche la condizione fisica generale è sembrata in evidente miglioramento (cosa tra l’altro confermata dai test atletici che sono stati svolti a metà settimana). Ma in questo quadro generale pur molto positivo restavano ben impresse due macchie: da una parte, un nervosismo esagerato e polemico, in campo e fuori; dall’altra, l’estrema difficoltà a concretizzare l’enorme mole di gioco e la schiacciante supremazia. Non solo c’erano da sconfiggere la sindrome da accerchiamento e da pareggite, ma era importante provare a segnare non più con il contagocce. Ebbene a Firenze, già dai primi minuti e ancora in parità numerica, la Juve non solo ha tenuto testa con sicurezza a una Fiorentina molto vogliosa e ben disposta in campo, ma anche ha cercato, come al solito, di imporsi con il gioco e con la personalità. A parte un lieve errore in appoggio di Caceres (acquisto di gennaio molto azzeccato e apprezzato) nei primissimi secondi della partita, la squadra di Conte ha sbagliato pochi passaggi, ha giocato spesso con i due tocchi e ha cercato soprattutto di allargare il gioco sulle fasce, dove Vucinic e Pepe si sono dimostrati pimpanti e ben ispirati. Soprattutto il montenegrino, che già a Genova aveva giocato una partita davvero straripante.

Ma quando, dopo pochi minuti, un tiro proprio di Vucinic si è stampato sul palo, i fantasmi di Genova si sono fatti vedere negli occhi dei giocatori e dei tifosi. Meno male che al 15° minuto sempre Vucinic, a conclusione di una percussione centrale Pirlo-Marchisio, ha insaccato alle spalle di Boruc, facendo così sciogliere i cattivi pensieri come neve al sole. Fino a quel momento si era comunque vista la solita Juve: gran possesso palla e un ritrovato Vidal (nei primi dieci minuti il cileno ha recuperato, a volte letteralmente sradicato, almeno cinque palloni dai piedi degli avversari). Poi c’è stato il cartellino rosso a Cerci. E’ vero che il regolamento parla chiaro – i gesti di reazione vanno puniti -, ma il calcio rifilato a De Ceglie non è sembrato così violento e cattivo. Forse un cartellino giallo o un energico richiamo dell’arbitro Bergonzi sarebbero bastati. Sta di fatto che da quel momento la partita si è virtualmente (e poi via via concretamente) chiusa: la Fiorentina ha perso sicurezza e il raddoppio di Vidal ha spento ogni velleità, almeno per quanto ha riguardato il primo tempo. 

La Juve, magistralmente orchestrata dalla bacchetta magica di Pirlo, ha messo in cassaforte il pallone e il risultato, tanto che i viola non avevano la convinzione né la forza fisica per cercare di recuperare il pallone e di ribaltare l’inerzia della partita. Solo a inizio ripresa la squadra di Delio Rossi ha gettato il cuore oltre l’ostacolo e, complice un’eccessiva mollezza dei bianconeri, per una decina di minuti è sembrato che la sfida si potesse anche riaprire. Ma si è trattato di un fuoco di paglia. Richiamati e strigliati da Conte, i giocatori bianconeri hanno infatti ritrovato la giusta concentrazione tattica e un po’ di sana cattiveria agonistica. E un volta risalito in cattedra il professor Pirlo, la Juve è tornata a comandare il gioco, a dettare i tempi della manovra (tutt’altro che frenetici) e a mettere definitivamente in ghiaccio il risultato andando a segno per altre tre volte con Pirlo, Marchisio e Padoin.

Insomma, tutto troppo facile e tranquillo, un test poco probante. Difficile, dunque, stilare una pagella ragionata dei singoli, tutti ampiamente sopra la sufficienza. Ma resta netta l’impressione che oggi la Juve sia più matura rispetto a inizio stagione: non ha avuto bisogno di forzare forsennatamente i ritmi, ha gestito con calma il possesso palla, ha cercato sponde, triangolazioni e inserimenti senza affanno, anzi tenendo costantemente larghi i suoi esterni d’attacco per coprire tutta l’ampiezza del fronte offensivo e sfiancare gli avversari costretti a giocare con un uomo in meno.

Molto probabilmente Conte in questi giorni ha lavorato molto sulle gambe dei giocatori, sulla loro testa e sugli schemi utili per cercare con maggior successo la via del gol. Un buon lavoro, sembra, che ora dovrà trovare nuove conferme già nell’imminente sfida con il Milan (che potrebbe regalare alla Juve la finale di Coppa Italia), e poi nelle successive due partite casalinghe con Inter e Napoli, abbastanza decisive in chiave piazzamento per la Champion’s League. Allo Juventus Stadium, dopo tanti pareggi, è arrivato il momento di lanciare tre ruggiti in faccia al campionato e agli avversari.