Che un momento difficile nella stagione sarebbe arrivato c’era da aspettarselo, ma che si evidenziasse così, improvviso e preoccupante, è stata un’amara sorpresa. Con il Chievo – e ad ammetterlo, in parte, è stato lo stesso Conte nelle dichiarazioni del post-partita – “la Juve, che finora è sempre andata a tavoletta, sta raschiando il fondo del barile”. È finita la benzina? Il serbatoio è vuoto? Il motore si è grippato? Domande che restano sul tavolo, un po’ inquietanti, e già dopodomani, a Bologna, troveranno una sonora conferma o una più rassicurante smentita. La partita con il Chievo, in effetti, è stata la partita delle sorprese. A partire dal modulo. Dal cilindro Conte ha estratto il coniglio del 4-4-2, un assetto tattico mai sperimentato in questo campionato. Ma più che raccogliere applausi di ammirazione, alla fine ha lasciato i tifosi un po’ interdetti e delusi (per la prima volta si sono sentiti fischi allo Juventus Stadium). Sulla disposizione tattica della difesa niente da dire, rispondeva a criteri razionali: i due migliori centrali in mezzo (Barzagli e Chiellini) e sulle fasce due terzini arrembanti (Lichtsteiner e De Ceglie). L’obiettivo: creare con le loro sovrapposizioni situazioni di superiorità numerica per aggirare la difesa del Chievo.
Qualche perplessità, invece, sulla composizione del centrocampo: se Pirlo non si discute (anche se qualche controllo maldestro c’è stato, ma ha rischiato di farci vincere: solo un super-Sorrentino ha potuto opporsi alla grandissima a un suo tiro capolavoro); se Marchisio, anche se in evidente affanno atletico, ci può stare (avrebbe però bisogno di un po’ di riposo e di una scossa a livello psico-tattico: ora è un giocatore normale, ma nel girone d’andata ha fatto vedere che può essere una mezzala devastante); e se Giaccherini è stato riportato nel ruolo ricoperto con grandi risultati nel Cesena (non a caso è stato uno dei migliori e dei più continui), proprio non si capisce la scelta di Padoin come esterno destro di centrocampo.
Non è in discussione il giocatore, visto che ai tempi dell’Atalanta era considerato dallo stesso Conte un jolly preziosissimo (arrivò addirittura a chiamarlo “san Padoin”) e visto che ieri due delle quattro conclusioni più pericolose della Juve sono partite proprio dai suoi piedi. No, a sorprendere è stato il fatto che, rispolverando un modulo molto delneriano, Conte non ha pensato affatto di “scongelare” uno come Krasic o di riproporre sulla scena uno come Elia, cioè due interpreti naturali del 4-4-2, un modulo che conoscono a memoria. Mancando Pepe, il biondo serbo o il giovane olandese d’ebano avrebbero potuto creare, con la loro corsa e con la loro tecnica, la necessaria superiorità numerica, mettendo in difficoltà un (all’inizio) timido e spaesato Dramè.
Ma la sorpresa meno gradita è arrivata dalla coppia d’attacco: Matri e Vucinic. Qui Conte ha commesso un errore grave: insistere sul montenegrino, giocatore sì dalle enormi potenzialità, ma che negli ultimi tempi ha confermato purtroppo di essere ancora solo una grande incompiuta. Troppo molle, troppo svogliato, in evidente stato precario di forma. Accanto a Matri, non brillante come contro il Milan, Conte avrebbe dovuto giocare la carta che ha estratto dal mazzo dopo il pareggio del Chievo: Alex Del Piero.

E qui è doveroso aprire una parentesi. Dopo il pareggio con il Milan, che ha evidenziato i limiti attuali della Juve, e in vista delle partite delicate e decisive che si dovranno giocare da qui alla fine della stagione, per la Juve diventa essenziale poter contare su giocatori abituati mentalmente alle grandi sfide, a reggere la pressione. Del Piero, sotto questo aspetto, è ancora il migliore in assoluto: non tradisce nei momenti clou. Ora, è vero che – da Agnelli a Conte – questa è la stagione che ci deve preparare all’addio del Capitano. Il presidente lo ha già annunciato nell’assemblea dei soci della Juve; l’allenatore sta – coerentemente – attuando il piano: le presenze di Del Piero vengono centellinate, gioca un minutaggio risicato, viene trattato come se già non fosse più un giocatore della Juve.
In prospettiva, il ragionamento funziona: sarà un distacco difficile e doloroso quello con il Capitano di tante battaglie e di tanti trionfi, giusto prepararsi per tempo all’addio: la decisione è stata presa, il giocatore a fine stagione se ne andrà. Ma ora? È lì in panchina e finché è nella rosa resta una risorsa, se non “la” risorsa per eccellenza, della squadra. Dunque, se serve, lo si faccia giocare. E con il Chievo già a inizio del secondo tempo Del Piero doveva essere schierato in campo al posto di Vucinic.
Chiusa la doverosa parentesi, non va certo dimenticato che a inizio campionato se qualcuno avesse pronosticato la Juve a inizio marzo a soli tre punti dal Milan con una partita ancora da recuperare e in piena lotta per lo scudetto o per un posto in Champions League, tutti gli juventini avrebbero messo la firma a occhi chiusi. Quindi, il momento è delicato, ma non bisogna lamentarsi, né disperare. Le fasi difficili in un campionato vengono proprio per far crescere la squadra, per testarne le reali qualità. E Conte, che queste situazioni le conosce bene e le ha vissute guidato da veri condottieri come Trapattoni, Lippi e Capello, saprà trovare le giuste controindicazioni. Anzi, già contro il Bologna vedremo qualche bella sorpresa.