Per la Juventus il pareggio di Bologna significa mancato aggancio (con primato) e due punti persi in classifica rispetto al Milan capolista, ma un punto, inconfutabile, riguadagnato: la Zebra c’è, corre, lotta e ruggisce ancora. I bianconeri lanciano un messaggio al campionato, pur essendo in piena emergenza tattica e in condizione fisica non ottimale: per lo scudetto o per un posto in Champion’s League scordatevi che la Juve sia dimessa, rassegnata, arrendevole. Ci vuole ben altro per spaventarla o abbatterla.
Eppure il Bologna nel primo tempo, con una condotta di gara coriacea e sfrontata, ha cercato di mettere paura a una Juventus che si è presentata al Dall’Ara senza i pilastri della sua difesa. Pioli, fiutando il sangue della preda, non solo ha tenuta alta la tensione durante la settimana, ma ha giocato i suoi assi migliori: Ramirez, Diamanti e Di Vaio a formare la linea offensiva della squadra. Gente sgusciante, di buona tecnica, rapida e pronta a infilarsi un ogni interstizio di campo lasciato libero dagli avversari. L’idea era chiara: colpire con la velocità del cobra, a piccoli morsi, velenosi. Dietro ai tre attaccanti, poi, una linea a quattro con Perez e Mudingayi votati all’interdizione e al pressing continuo. Una tattica perfettamente riuscita per 45 minuti, a tal punto che il Bologna ha chiuso in vantaggio il primo tempo, ha ingabbiato la Juventus e l’ha fatta innervosire, perché i bianconeri non riuscivano a sviluppare il gioco e a impensierire Gillet (a parte una punizione deviata di Pirlo). Al rientro negli spogliatoi si respirava la netta sensazione che sarebbe arrivata la prima sconfitta.
Invece nel secondo tempo, dopo una partenza ancora forte dei rossoblù, la Juve con un crescendo in certi momenti addirittura rossiniano ha conquistato metri, ha vinto i duelli in mezzo al campo, ha ricominciato a correre, ha cinto d’assedio l’area avversaria. Insomma, è tornata a fare la Juve di Conte che abbiamo imparato a conoscere in questo campionato. Che cosa è successo? Certo, il Bologna nel primo tempo ha speso molte energie e Conte si sarà fatto sentire nello spogliatoio. Ma soprattutto la Juve ha pescato nel suo Dna le risorse giuste per ribellarsi a una situazione che stava per trasformarsi in una condanna irreversibile. Pirlo si è liberato della marcatura di Ramirez, Vidal ha dato segni di ritrovata vitalità, Marchisio è uscito dal guscio e Pepe, ben sostenuto da Lichtsteiner, si è conficcato come una spina nel fianco sinistro della difesa bolognese. E per una buona mezz’ora si è rivista quella cattiveria agonistica, quella ferocia nell’imporre i propri ritmi che hanno soggiogato il Bologna, via via sempre più rintanato all’indietro. A un certo punto, anzi, è sembrato quasi possibile che la Juve potesse sferrare il pugno del ko, utile per portare a casa tre punti decisivi per la classifica e per il morale. Perché non è successo? Perché il colpo letale è rimasto in canna?
Tre indizi: Vucinic, Conte e Del Piero. Il montenegrino, che pure ha il merito di aver segnato il pareggio su un passaggio filtrante con il laser di Pirlo, è molle e prevedibile. Raggi lo ha sovrastato sul piano fisico e spesso, nei tentativi di convergere verso il centro, Vucinic veniva regolarmente raddoppiato e anticipato sul secondo tocco di palla, prima cioè di poter inventare qualcosa. Conte, invece, si dimostra troppo “innamorato” delle sue scelte e del suo modulo iniziale: non osa rischiare mosse, che probabilmente giudica avventate, in grado di cambiare l’inerzia della partita, di spostare gli equilibri, di sorprendere gli avversari. Insiste con gli stessi uomini e con gli stessi assetti tattici, salvo intervenire con i cambi con un pizzico di ritardo. (Ma tutto ciò non toglie una virgola all’immenso lavoro di rinascita della Juve condotto fino a questo punto). E Del Piero che cosa c’entra? Niente, vogliamo solo ribadire che quando il gioco si fa duro, i duri dovrebbero cominciare a giocare. E questi sono tempi duri per la Juve, tempi da cuori e teste forti. Insomma, tempi da Capitano. Anche contro il Bologna la presenza di Pinturicchio sarebbe servita, senz’altro più di quella, un po’ troppo eterea, di Quagliarella.
Ora ci aspetta la trasferta di Genova, una sorta di Capo Horn del nostro campionato. Insidiosa, molto insidiosa, perché ci mancherà il condottiero in panchina (Conte, espulso, verrà senz’altro squalificato) e perché in difesa l’unico di ruolo convocabile sarà Caceres, per il resto (fuori Barzagli e Chiellini per infortuni e Bonucci per squalifica) toccherà a Vidal adattarsi a centrale, mentre Lichtsteiner e De Ceglie dovranno essere riconfermati sulle fasce. A centrocampo sarà ballottaggio tra Giaccherini e Padoin accanto a Pirlo e Marchisio, mentre in attacco non si potrà più sbagliare la scelta iniziale. Serviranno la Juve vista a Bologna nel secondo tempo e quel Del Piero che a Bologna non si è visto.