Alla trentesima giornata una vittoria da 30 e lode. Quella con il Napoli consacra (se ancora ce n’era bisogno) la Juve come grande squadra. Un successo difficile e sofferto nel primo tempo, ma poi raggiunto con un punteggio roboante, frutto di una maggiore propensione alle conclusioni in porta rispetto agli avversari. Nel complesso una partita molto maschia, gagliarda, combattuta agonisticamente, che l’arbitro Orsato ha diretto e fatto giocare con timbro anglosassone.

La squadra di Mazzarri ha messo in campo tutto il meglio del proprio repertorio: corsa, fraseggio a centrocampo, imbucate improvvise e il trio d’attacco delle meraviglie. Ma se contro il Chelsea proprio Cavani, Hamsik e Lavezzi avevano saputo creare quattro occasioni da gol limpide e spettacolari, la bravura della Juve è stata quella di aver imbrigliato gli attaccanti azzurri. Il tabellino del match lo dice chiaramente: per la Juve dieci tiri in porta, Napoli a quota zero (si contano soltanto un’incursione di Hamsik nel primo tempo e un paio di conclusioni fuori dallo specchio della porta nella ripresa: insomma, per Buffon una serata tutto sommata tranquilla, tenuto conto che aveva di fronte il secondo attacco più prolifico del campionato).

Proprio dalla difesa della Juve è giusto partire. A parte l’inoperoso Buffon, i tre colleghi di reparto schierati all’inizio da Conte nel 3-5-2 di partenza hanno saputo anestetizzare alla grande gli avversari. Pensare che sono gli stessi giocatori della difesa colabrodo dello scorso anno fa capire quanto sia importante in una squadra la mano di un allenatore. Costretti con Del Neri a giocare un’assurda zona anche sui calci piazzati, la retroguardia juventina assomigliava tristemente a un groviera svizzero: chiunque riusciva a perforarla con irrisoria facilità. Quest’anno invece la difesa bianconera è il bunker meno violato della Serie A: solo 17 gol subiti. Merito in gran parte di un Barzagli straordinario per senso della posizione e gioco d’anticipo, ma anche di un Chiellini che, riportato nel ruolo di centrale, ha ritrovato grinta, fisico e sicurezza dei tempi migliori. I progressi più evidenti, però, sono quelli palesati da Bonucci: con Conte ha limitato le amnesie, ha aumentato il tasso di concentrazione e ha imparato quella “cattiveria” agonistica che resta dote fondamentale di ogni buon difensore (ricordate Gentile su Zico e Maradona ai Mondiali 1982?).

Sulle fasce lo svizzero Lichtsteiner comincia ad accusare la stanchezza di un campionato corso a 150 all’ora come se fosse un Frecciarossa in servizio permanente. E poi sente sul collo la concorrenza interna di Caceres. Licht continua a spingere, ma con minore vigoria e intensità, denotando oltre tutto un nervosismo un po’ eccessivo, che può risultare nocivo per le sorti della squadra in questo delicato finale di campionato, dove si può ancora contendere lo scudetto al Milan (non a caso, per precauzione, Conte lo ha sostituito prima che si beccasse un secondo giallo). Sull’out sinistro ora opera un altro giocatore che ha compiuto passi da gigante: De Ceglie ha retto benissimo l’urto iniziale di Maggio e non ha mai lasciato passare Zuniga (si è fatto sorprendere solo una volta da un’incursione di Campagnaro). In fase d’appoggio, poi, De Ceglie mostra miglioramenti ancora più marcati: è in costante proiezione offensiva, appoggia il gioco su Marchisio e Vucinic e tiene sotto pressione gli esterni bassi avversari.

Ma il vero uomo partita da Ruggito si trova a centrocampo, e non è Pirlo. Si chiama Vidal. Non solo, come sempre in questo spettacolare suo campionato, ha coperto chilometri quadrati di campo; non solo ha sradicato decine di palloni; non solo è andato a riprendersi palloni che lui stesso aveva perso. Non solo Vidal contro il Napoli ga fatto tutto questo, ma al 75’ minuto ha avuto la forza e la classe di recuperare un pallone a centrocampo, scattare per dettare il passaggio, ricevere il pallone in area attorniato da due difensori partenopei, scartarli con una serie di finte ubriacanti e infilare De Sanctis con un diagonale di rara precisione e prepotenza. Davvero straordinario. Con lui, Pirlo e Marchisio la Juventus di Conte ha trovato un trio di centrocampo completo (sanno difendere, pressare, recuperare palloni, inseriris fra i reparti, inventare gioco, andare a concludere, segnare): forse solo il Barcellona ha un reparto mediano più forte e spettacolare di quello bianconero.

Peccato che i problemi maggiori la Juve continui ad averli in attacco. Vucinic ha giocato per l’ennesima volta come se al posto degli scarpini portasse delle comode pantofole: tocchi morbidi e movimenti svagati. Quanto a Borriello, tanto impegno, una dedizione a fare a sportellate con i centrali avversari (soprattutto Cannavaro e Aronica), un’abnegazione nel cercare di creare spazi alla squadra, il tutto però condito da troppi tocchi fuori misura e da troppi palloni sporchi non controllati a dovere. Comunque fa bene Conte a difenderlo (ha notevole forza fisica e in questo finale potrebbe tornare utile), ma Marotta fa bene a guardarsi in giro, perché l’anno prossimo il budget va concentrato proprio sull’acquisto di un attacacnte di peso, di nome e prolifico.

Due parole le merita Del Piero: è entrato negli ultimi dieci minuti, ha danzato sul pallone come ai vecchi tempi, ha fornito un assist “alla Messi” che Quagliarella non ha sciupato e in un paio di occasioni ha pure tentato un tiro dei suoi. Dieci minuti da 10 e lode anche per il Capitano (presidente Agnelli, è possibile rimangiarsi l’annuncio fatto al Cda sull’ultimo anno in bianconero di Del Piero?).

Ora mancano otto partite. Finora le squadre che hanno accettato il confronto con la Juve sul piano podistico sono finite con la lingua fuori: resistono un tempo, poi soffrono una circolazione di palla molto veloce e un pressing costantemente feroce. Il Milan è lì, appena due punti sopra e con un Barcellona ancora tra i piedi. Ecco, per coltivare un sogno che solo dieci mesi fa era un miraggio, servono ancora otto partite giocate con l’idea di voler “sbranare” (in senso calcistico, ovviamente) calendario e avversari.