JUVENTUS-ROMA (SERIE A) – Alla vigilia erano considerati 90 minuti decisivi, un ostacolo difficile, ma la partita con la Roma è durata solo un terzo di quel tempo. Una partita che è finita, come sfida, come pathos, al 29° minuto, quando Stekelenburg in uscita tocca con il suo il piede di Marchisio lanciato a rete da un’imbucata micidiale di Vucinic. L’arbitro Bergonzi fischia il rigore e (ingiustamente, ma è il regolamento “ingiusto” in sé, perché penalizza due volte chi provoca il penalty) mostra il rosso al portiere romanista. A quel punto, con la Juve già in vantaggio 2-0, grazie a un tremendo uno-due di Vidal nei primi otto minuti, sulla sfida cala definitivamente il sipario: la Roma sotto di tre gol (Pirlo realizza dopo che Curci gli respinge il tiro dal dischetto) e costretta a giocare con un uomo in meno per un’ora.

Fino a quel momento, cioè fino al momento in cui la vera partita finisce, la Juve mette in mostra le solite qualità: grinta, corsa, circolazione di palla, cattiveria agonistica, ripartenze ficcanti. La Roma oppone un possesso di palla speculare (è l’unica squadra che non si fa mettere sotto allo Juventus Stadium: alla fine, anzi, tiene il pallone più dei bianconeri), ma meno aggressivo.

La differenza, come in tutte le partite di questo campionato, la fa la “fame”. Quella degli juventini è ossessiva, a tratti feroce: hanno la testa e le gambe rivolte a un solo obiettivo, che è quello di occupare il campo, ringhiare sulle caviglie degli avversari, conquistare i tre punti. Oltre tutto, dopo il pareggio nel pomeriggio del Milan con il Bologna, la Juve capisce che può essere la svolta decisiva del campionato: e la sua “fame” si moltiplica. I giallorossi non hanno la stessa fame e pagano dazio, già nei primi dieci minuti.

Si può commentare solo questo spicchio di partita (come del resto era già successo con la Fiorentina a Firenze), perché dopo l’espulsione di Stekelenburg la sfida è troppo impari, non è più Achille contro Ettore, non serve più un Omero a raccontare un duello epico: come nelle tragedie greche, il destino è segnato, diventa ineluttabile, non si può cambiare, neanche se scendesse in campo un eroe.

Con questo successo, il 33° di fila di questo campionato sempre più sorprendente, la squadra di Conte centra matematicamente il primo obiettivo della stagione. Ad agosto era stato chiesto all’allenatore salentino di riscattare le settime posizioni degli ultimi due campionati, conquistando almeno un posto Champions. Insomma, finire la stagione arrivando almeno terzi, per disputare i preliminari di Champions. Ora, con 16 punti di vantaggio sulla Lazio, la Juve è sicura di entrare in Champions dalla porta principale.

Ma non finisce qui. Battendo la Roma, ha messo in cascina tre punti di vantaggio, a cinque partite dalla fine, sul Milan per la volata scudetto. Ora mancano le sfide con Cesena, Novara, Lecce, Cagliari e Atalanta: sulla carta tutte meno difficili di quella con la Roma, ma proprio l’esperienza del Milan (sconfitta in casa con la Fiorentina e pareggio sempre a San Siro con il Bologna) dimostra che non bisogna mai abbassare la guardia.

A conforto della Juve, però, si confermano una condizione fisica ottimale, una condizione psicologica ancora migliore, una difesa che nelle ultime quattro partite non ha concesso occasioni importanti agli avversari (e con 18 gol è sempre la meno perforata del campionato), un Vidal immenso e una capacità realizzativa ampiamente ritrovata.