I venti minuti più belli e commoventi degli ultimi vent’anni di storia bianconera, ma venti minuti che i tifosi juventini non avrebbero mai voluto vedere. In quei venti minuti di Juventus-Atalanta si consuma infatti il caloroso addio del popolo juventino ad Alex Del Piero. E’ l’immagine che rimarrà nella storia di questa partita, una gara che ai fini del risultato e del campionato non aveva più nulla da dire, se non confermare – come puntualmente è successo – l’incredibile imbattibilità della squadra di Conte: 38 partite su 38 senza mai doversi inchinare ad alcun avversario (il bilancio finale parla di 23 vittorie e 15 pareggi), un record che non potrà mai essere superato, tutt’al più solo eguagliato, da altre squadre italiane.
Conte schiera alcuni rincalzi e alcuni giocatori che non hanno tanto minutaggio nelle gambe: reattivo Storari tra i pali, bene Estigarribia come terzino sinistro, ottimo Marrone, non solo per il gran gol all’incrocio, discreto Padoin, in crescita Borriello, più svagato del solito Giaccherini. La partita fila via liscia, con l’Atalanta che non lesina l’impegno e la Juve che gioca come sa, pur senza avere nella testa e nelle gambe la solita intensità. Molto bella la scena finale: alla Juve viene assegnato un rigore e i compagni vanno a cercare Barzagli (unico juventino a non aver ancora segnato quest’anno), invitandolo a calciare dal dischetto, come a dire: “Questa è l’ultima chance che abbiamo di farti segnare: è giusto che entri anche la tua firma alla fine di un campionato esaltante e vincente”. Bel segnale di uno spogliatoio sempre unito e compatto.
Ma torniamo ai venti minuti che hanno scritto la storia di Juve-Atalanta, ultimo atto del campionato di Serie A 2011-2012. La coreografia scatta, spontanea, al 12° del secondo tempo: Alex Del Piero viene sostituito da Quagliarella. La Juve è sul 2-0 (vantaggio con Marrone e raddoppio proprio con Del Piero nel primo tempo), ma tutto lo Juventus Stadium diventa un sol uomo in piedi per applaudire e salutare il Capitano: dopo 708 partite e 188 gol è il suo canto del cigno.
In realtà, il passo d’addio avrebbe anche potuto essere più veloce: dopo pochi minuti un contrasto a centrocampo, Del Piero resta a terra, si rialza a fatica e giocherà tutti i primi 45 minuti quasi da fermo o zoppicando. Pur menomato, a ulteriore dimostrazione della sua leggendaria classe, riesce a mettere il timbro sul raddoppio bianconero. Nel secondo tempo Conte gli concederà ancora una passerella di 12 minuti, poi – in vista anche della finale di Coppa Italia di domenica prossima all’Olimpico contro il Napoli – decide la sostituzione. La partita, la diretta tv, tutto lo stadio si fermano: Del Piero saluta, fa un inchino a centrocampo, tutti i compagni gli si stringono intorno e anche gli avversari lo salutano con riverenza e affetto. Esce dal campo tra gli applausi, i cori e le lacrime dei tifosi. A quel punto sembra tutto finito: consumato il dovuto saluto finale al numero 10 più grande della storia juventina, la concentrazione dovrebbe tornare sulla partita. E invece, no.
I tifosi non si arrendono, lo chiamano, lo invocano, lo reclamano sotto la curva: Del Piero si alza dalla panchina, che allo Juventus Stadium è incastonata tra le prime file degli spalti, e saluta, fa il gesto della vittoria con le due dita. Non basta: l’affetto dei tifosi lo sommerge di nuovo, il coro che lo invoca torna a essere più accorato e assordante. A quel punto, da vero uomo-immagine della Juve, il Capitano s’inventa ciò che esula dai copioni e dai protocolli abituali: scavalca la panchina, si porta a bordo campo e compie il giro dello stadio raccogliendo applausi, cori, sciarpe, baci da tutti i tifosi.
Immenso: un Capitano così sarà difficile da rivedere, rimarrà sempre nei nostri cuori. Non solo per la classe dei suoi tocchi, per le magie dei suoi gol, ma per quell’attaccamento, quasi immedesimazione con tutto ciò che è Juventus. In quei venti minuti sono ripassati, negli occhi e nei cuori dei tifosi, i suoi grandi gol, i gol alla del Piero, con quella parabola che andava ad accarezzare l’incrocio dei pali superando di un nonnulla, millimetricamente, il guantone del braccio, proteso in uno sforzo vano, del portiere avversario. Quanti gol ci ha regalato a quel modo, a quante vittorie ci ha condotto per mano (a partire dalla rete grazie alla quale abbiamo vinto la Coppia Intercontinentale del 1997). Ma nella memoria non resteranno solo i suoi gol. C’è posto per molto di più: la compostezza e l’ironia con cui ha saputo attraversare questi vent’anni di calcio, spesso messo in competizione con altri campioni (il dualismo in Nazionale con Baggio o con Totti, vissuto senza mai polemizzare), la caparbietà con cui ha saputo risalire la china dopo il tremendo infortunio a menisco e legamenti nella partita con l’Udinese dell’ottobre 1998. Ma soprattutto la sua umiltà e il suo attaccamento ai colori bianconeri, quando decide di scendere in serie B dopo essere diventato campione del mondo con Lippi in Germania nel 2006. E sei anni dopo, conquistato lo scudetto, da vero Capitano ricorderà a uno a uno i compagni che hanno vissuto quell’esperienza. Straordinario.
Ora Del Piero è atteso all’ultimo sforzo (e speriamo all’ultimo trofeo) da juventino. Poi cambierà maglia. Ma noi continueremo a invocarlo così: “Un Capitano, c’è solo un Capitano…”. Grazie, Alex, perché tu sei – e sarai sempre – la Juve più bella e vincente.