Poteva essere doppietta, campionato e Coppa Italia, ma l’unica sconfitta in 43 partite stagionali sottrae alla Juve la possibilità di festeggiare la conquista della sua decima Coppa Italia. Una Juve che si è presentata alla finale dell’Olimpico regalando al Napoli la fascia sinistra e tutto il primo tempo, giocato con la testa e le gambe ancora alla grande festa di Torino della scorsa settimana. La Juve ha tirato fuori le unghie solo dopo il rigore di Cavani, ha sfiorato il pareggio con un gran tiro di Bonucci e uno splendido slalom di Pepe, ma non è bastato e il raddoppio di Hamsik ha spento ogni possibilità di recupero, anche se la squadra, tenendo fede al suo spirito indomito, ha continuato a cercare il gol che potesse riaprire la sfida almeno fino all’espulsione di Quagliarella. Peccato, ma resta comunque negli occhi e nel cuore un’annata da 30 (scudetti) e quasi lode (giocare una finale è pur sempre un grande risultato). E ora, a conclusione di una lunga galoppata vincente, chiusa con una piccola parentesi negativa, è proprio il caso di stilare il super-pagellone dei protagonisti di un anno che ha segnato – in maniera inequivoca e indelebile – il riscatto e il ritrovato orgoglio della Juventus.

Conte: 10. Un campionato-rinascita costruito con assoluta umiltà e determinazione. Le prime pietre le getta già nel ritiro: porta la squadra a 40° negli Usa e senza farsi impietosire la torchia come se fosse ad allenarsi in Lapponia. Molti giocatori finiscono stremati, ma lì mette benzina con super-ottani nel serbatoio. Un metodo che ripropone nella sosta natalizia a Dubai: fieno in cascina in quantità, che all’inizio zavorra la squadra, ma poi nel momento topico le garantisce le vitamine giuste. Ma il suo capolavoro è a livello tattico: assertore del 4-2-4 (non a caso in campagna acquisti fa imbottire la squadra di ali ed esterni e poi ha il coraggio di non utilizzarli, alla faccia delle minusvalenze economiche…), è bravissimo a virare di colpo il modulo tattico, quando capisce che Vidal non può stare in panchina, bensì è il giusto complemento a un trio di centrocampo di valore mondiale. Con il 4-3-3 prima e soprattutto con il 3-5-2 trova la quadratura del cerchio. Bravissimo a far rinascere Marchisio, a far crescere Bonucci e Giaccherini, a difendere Vucinic quando il montenegrino tocca il suo punto più basso di rendimento in campionato. Ha dato alla squadra un Dna coriaceo e un gioco intenso, travolgente, spettacolare.  

Buffon: 9,5. E’ tornato il numero uno dei numeri uno. Stagione da record, con soli 15 gol subìti, due rigori in cui ha negato la gioia del gol agli avversari (ipnotizzato Totti e disorientato Hamsik), più altre paratone decisive (su tutte quella a Palacio dopo pochi secondi nella partita di Marassi con il Genoa e sul colpo di testa di Forlan in Juve-Inter). Ma la sua stagione sarà ricordata anche per i riflessi davvero felini sul colpo di testa di Muntari e il rocambolesco passaggio involontario a Bertolacci nella partita con il Lecce (che gli vale il mezzo punto in meno). Un campionato da baluardo insuperabile, anche se in molte partite ha fatto da spettatore in campo.

Barzagli: 10. Efficace come Montero, pulito come Ferrara. Una stagione all’insegna degli anticipi: nessun attaccante – rapido, veloce o potente – è mai riuscito a metterlo in difficoltà. Il miglior difensore della Serie A e oltretutto anche il meno falloso. Ciclopico.

Bonucci: 9. E’ partito timido come l’anno scorso, ha spesso sbagliato anticipi e appoggi nella prima parte del campionato, ma via via ha ritrovato sicurezza, grinta e personalità. Ottima alternativa nella costruzione del gioco quando gli avversari hanno messo la museruola a Pirlo.

Chiellini: 9. Inizio campionato a corrente alternata: troppo irruento e talvolta in stato confusionale. Come Bonucci, però, nella difesa a tre ha ritrovato antiche certezze, rispolverando una cattiveria e una baldanza agonistica che hanno spesso intimorito gli avversari. Nel gioco all’inglese non ha rivali. Un vero schiacciasassi. Da incorniciare il suo urlo battendosi il petto dopo ogni un gol segnato: il Tarzan della difesa di Conte.

Caceres: 8. E’ arrivato a gennaio. Gettato nella mischia nella sfida con il Milan in Coppa Italia ha buttato lì con nonchalance una prova convincente per corsa e intensità, condita da due gol. Quando è stato chiamato in causa, sulla fascia o come centrale, non ha mai tradito e nel momento di stanca di Lichtsteiner ha fatto da flebo di zuccheri sull’out destro, con incursioni degne dei migliori reparti dei Marines.

Lichtsteiner: 8. Un lanzichenecco inarrestabile, ha arato avanti e indietro la sua fascia di competenza. Ha avuto il merito di segnare il primo gol della stagione e di scardinare la difesa dell’Atalanta nell’ultima partita del girone d’andata, quando le tossine cominciavano a farsi sentire. Con il declino di Maicon, assieme al napoletano Maggio è il miglior interprete nel ruolo di esterno destro del nostro campionato.

De Ceglie: 7,5. Il levriero valdostano ha iniziato la stagione accucciato, poi ha cominciato a mettere il naso fuori ma sempre attaccato al guinzaglio, infine ha preso confidenza e ha disputato un buon campionato sia in fase difensiva sia in fase propositiva.

Vidal: 9. La grande e piacevolissima sorpresa della stagione. Re Arturo ha concentrato in sé la cattiveria agonistica di un Davids, il senso della posizione di un Deschamps, la capacità di impostare di un Paulo Sousa e l’abilità nelle conclusioni di uno Jugovic. Insomma, il succo del centrocampo di Lippi condensato in un sol uomo. Le perle della stagione? Il tracciante per Matri che ha dato inizio alla rimonta al San Paolo contro il Napoli, il passaggio filtrante che ha smarcato Del Piero per il raddoppio contro l’Inter a Torino e i due gol-capolavoro al Napoli e alla Roma nel girone di ritorno. Attorno a questi capolavori, tanta sostanza. E’ l’uomo simbolo dello spirito di Conte: se perdi la palla, non lagnarti, ma rincorri l’avversario e vai subito a riprendertela. Esemplare e inossidabile.

Pirlo: 9,5. Votato come il miglior giocatore dell’anno, Pirlo è stato il direttore con la bacchetta magica che ha cambiato lo spartito all’orchestra bianconera. Ha garantito geometrie, tempi, tranquillità e lampi di genio alla manovra juventina. Semplicemente favolosi il lancio in profondità per Vucinic (pareggio con il Bologna nel momento peggiore della stagione) e il tracciante con cui smarca Licht per il vantaggio contro l’Atalanta. In mezzo, una marea di tocchi, di finte, di passaggi smarcanti, di imbucate mettendo un compagno solo davanti al portiere. E’ il Caravaggio dei centrocampisti.

Marchisio: 8,5. Il nuovo Tardelli è tornato. Corsa, senso tattico, interdizione asfissiante, incursioni, tiri, gol (è il vicecannoniere della Juve). Un girone d’andata stratosferico per intensità e brillantezza, per tecnica e ferocia agonistica. Nel ritorno è tornato su ritmi più normali, garantendo però un rendimento costante e mai banale. Per il Principino un campionato principesco. E può ancora crescere. Semplicemente mostruoso (in senso ovviamente positivo) contro il Milan nella partita d’andata allo Juventus Stadium.

Pepe: 8. Idem come Marchisio. Partito come rincalzo di Krasic e come alternativa a Elia, ha debuttato alla grande, interpretando al meglio i dettami tattici di Conte. Girone d’andata giocato come fosse un diavolo della Tasmania, condito di gol belli e importanti. Poi un comprensibile calo. Si è rivisto alla fine, dopo una serie di piccoli infortuni, e sembrava di vedere il Pepe di inizio campionato.

Giaccherini: 7,5. Fosse un brasiliano, si chiamasse Giaccherinho… L’ex cesenate è entrato in punta di piedi nella casa della Juventus: timido, un po’ bloccato, timoroso di farsi notare troppo. Ma Conte lo ha svezzato in fretta e lui – con umiltà – ha scalato le posizioni. Ottimo rincalzo di Marchisio nel ruolo di mediano-mezzala sinistro, utile apriscatole sulle fasce, efficacissimo guastatore capace di infilarsi al momento giusto nel cuore delle difese avversarie. Una bella scoperta e una scommessa vinta da Conte.

Estigarribia: 6,5. Arrivato dalla Copa America con ottime credenziali di esterno a tutto campo, il paraguagio ha conquistato Conte per il suo dinamismo, abbinato anche a colpi di classe e dribbling da vera ala. Molto utilizzato nella prima parte, decisivo al San Paolo contro il Napoli non solo perché tiene baldanzosamente testa a Maggio, ma anche perché mette la firma a uno dei gol della rimonta da 1-3 a 3-3. Nel girone di ritorno, complice la crescita di De Ceglie, trova meno spazio, ma la sua duttilità è comunque preziosa.

Matri: 6,5. Parte fortissimo, è il bomber di cui ha bisogno la Juve per finalizzare una mole di gioco che nel nostro campionato non ha eguali. Fino a febbraio segna 10 gol (l’ultimo, fondamentale, nel pareggio di San Siro contro il Milan) e resta il capocannoniere juventino. Ma dalla primavera in poi soffre, fatica a tenere i ritmi e i dettami tattici che chiede Conte ai suoi attaccanti. Lanciato in profondità e nei sedici metri ricorda molto Trezeguet. Meno efficace nella capacità di tenere palla per far salire la squadra e nelle sponde per gli inserimenti dei centrocampisti.

Vucinic: 8. Ha giocato due terzi del campionato come se portasse le pantofole, con quella sufficienza irritante tipica dei giocatori slavi, tutto genio e sregolatezza. Spesso Conte si è sgolato in panchina per dargli la scossa. Ma il montenegrino ha avuto due meriti enormi: ha imparato anche a mettersi al servizio della squadra (all’occorrenza è andato a rincorrere il terzino avversario), ma soprattutto ha regalato al gioco della Juve, nei momenti più delicati, un valore aggiunto di genialità e di imprevedibilità. Non solo: ha segnato due dei gol più decisivi della stagione: a Bologna ha realizzato la rete del pareggio su verticalizzazione chirurgica di Pirlo (era il momento peggiore della stagione, squadra intossicata dalle polemiche e dalla preparazione a Dubai); a Trieste contro il Cagliari ha segnato il gol scudetto. La vera perla della sua stagione, però, è stato il diagonale potente e preciso nel sette con cui ha riacciuffato ai supplementari il Milan, portando la Juve in finale di Coppa Italia.

Quagliarella: 7. Riprendersi dal brutto infortunio del 2011 è stato lungo e difficile. Ma il Quaglia non si è mai arreso ed è stato bravo a dare il suo contributo di idee e di gol alla causa. Tornerà senz’altro decisivo con le sue giocate anche nella prossima Champion’s League.

Borriello: 7. E’ arrivato – con il mercato di gennaio – tra i fischi, non li ha saputi trasformare in applausi aperti, però con grande forza di volontà ha saputo venire fuori da una situazione psicologica non facile. Ha pagato gli infortuni e il fatto di non aver svolto la preparazione con i compagni. All’inizio molto macchinoso, lento e impacciato, ma a Cesena ha sbloccato il risultato, regalando una vittoria importantissima e scaldando i cuori dei tifosi. Un ariete.

Del Piero: 10 e lode. Un voto al campionato e alla carriera. Non ci sono parole. Mai una polemica, pur essendo stato spesso relegato in panchina, costretto a entrare in campo a 5-6 minuti dalla fine (con le telecamere che impietosamente inquadravano il vice Alessio catechizzarlo come fosse un esordiente qualsiasi: e lui concentrato, tranquillo, disponibile: incredibile!). Eppure ha firmato quattro gol importantissimi: in Coppa Italia contro il Milan, il raddoppio contro l’Inter, il 2-1 alla Lazio (il vero gol che ha sbloccato la corsa verso lo scudetto) e il raddoppio contro l’Atalanta nella partita del suo commovente addio. Grande in campo e fuori: nel giorno dello scudetto ricorda i compagni di squadra che hanno giocato con lui in Serie B e sulla proposta di ritirare la maglia numero 10 ricorda che proprio quella maglia è il sogno di tutti i bambini che vogliono giocare a calcio e quindi è giusto che qualcun altro abbia la possibilità di indossarla. Sì, nessuno come lui, per classe, umiltà, intelligenza.

Storari: 8. Il secondo portiere ideale. Mai una polemica, grande capacità di fare spogliatoio, e una volta chiamato in causa sempre pronto, tranquillo e sicuro.

Marrone: 7. Avendo davanti gente come Vidal e Marchisio, è difficile trovare spazio. Ma il ragazzo ha grandi qualità fisiche e buona tecnica. La sua vittima preferita quest’anno è stata l’Atalanta: deliziosa l’imbucata per il gol di Giaccherini all’andata,  bellissimo e potente il tiro su colpo di tacco di Borreillo per il vantaggio juventino nell’ultima di campionato. Anche in Coppa Italia contro il Milan una partita di sostanza. Ha futuro.

Padoin: 6,5. Arriva a gennaio, Conte lo conosce bene per la sua duttilità (a Bergamo lo chiamava “San Padoin”) e si mette subito al servizio della squadra. Non concede acuti, ma nemmeno stecche clamorose.

Elia: 5,5. Diamante grezzo per classe e rapidità di corsa, l’olandese paga l’inesperienza e la difficoltà a capire il calcio italiano: per gran parte dell’anno è stato un oggetto misterioso.

Krasic: 5. “Senatore” nella Juve di Delneri, “tribuno” (nel senso che sta in tribuna) con Conte: il serbo proprio non capisce e non si adatta agli schemi dell’allenatore juventino. Eppure, per corsa, dribbling e imprevedibilità Krasic avrebbe potuto essere quello che Lanzafame è stato per Conte: l’incursore per eccellenza (a Bari era soprannominato “Lanzafiamme” per i danni che procurava alle difese avversarie). Peccato.

Andrea Agnelli: 9,5. Il presidente ha fatto tesoro degli errori, ha voluto Conte, è tornato a far sentire la voce della Juve anche nella vicenda Calciopoli. Tutto bene. L’unico neo: la gestione del caso Del Piero. Forse nemmeno Agnelli pensava che lo scudetto sarebbe arrivato subito e quindi si era spinto in là, annunciando con grande anticipo l’abbandono del Capitano. Poi la stagione ha preso un’altra (imprevedibile ma gradevolissima) piega, ma Agnelli ha tenuto duro e non ha fatto marcia indietro. Certo, prima o poi il distacco da Del Piero sarebbe arrivato: e quest’anno con lo scudetto gli è stato regalato un palcoscenico indimenticabile. Forse, alla fine, è stato giusto così. Ai posteri, però, l’ardua sentenza…

Marotta: 9. Nella stagione di Delneri, tanti acquisti e poca qualità. Con Conte almeno due capolavori (Pirlo e Vidal), un bel colpo (Vucinic) e tante operazioni (anche finanziariamente parlando) efficaci. Sembrava un bravo general manager da provinciale, si sta adeguando al ruolo in una grande squadra. In ottica Champion’s, quest’anno è chiamato a pochi colpi ma di livello assoluto e senza possibilità di sbagliare.

Lo staff dei preparatori: 9. L’anno scorso una marea di infortuni, giocatori che anziché correre camminavano, una squadra senza grinta, impacciata e intimorita, che si scioglieva come neve al sole alle prime difficoltà. Quest’anno tutt’altra musica: una squadra che corre senza tregua, capace di reagire a ogni difficoltà, giocatori sempre aggressivi e pronti a rimediare agli errori. Merito dello staff di preparatori atletici che hanno affiancato Conte: il responsabile della struttura Paolo Bertelli, che ha avuto in precedenza esperienze importanti con Fiorentina, Udinese e Roma. Sotto la gestione Spalletti, nel 2008, ha vinto il premio come miglior preparatore della serie A; il 39enne spagnolo Julio Tous, che segue lo sviluppo con la forza e che ha lavorato anche con il tennista Carlos Moya; infine, Roberto Sassi, il responsabile del controllo di tutti i dati. Un trio ben assortito e di grande professionalità.

Juventus Stadium: 10. La casa della Juve, dove non solo ruggisce la squadra, ma anche il tifo. Avere lo stadio di proprietà garantisce alla Juventus un bel vantaggio sulle avversarie, che sarà difficile colmare nel breve. Sempre tutto esaurito, all’inizio sembrava condizionare troppo i giocatori, poi a mano a mano è diventato il dodicesimo uomo in campo. Una spinta e un affetto continui.

I tifosi: 8,5. Un grande applauso al popolo bianconero, sempre vicino alla squadra. Con un difetto da correggere: basta con i cori razzisti, allo Juventus Stadium si va per incitare la propria squadra, i propri campioni, che sono così numerosi e così bravi che non ci può essere tempo e spazio per “pensare ai complimenti” da rivolgere agli avversari. Sarebbe un delitto prendere una squalifica del campo, privare la Juve della sua casa anche solo per una partita… 

P.S. Chi scrive questa rubrica è strafelice: non solo ha scaramanticamente portato bene alla Juve, raccontando giornata dopo giornata il lungo e trionfale cammino verso lo scudetto, ma nella scelta del titolo “Il ruggito della Zebra” ha condensato lo spirito e l’anima di questa squadra. E dopo i prossimi commenti sulla campagna acquisti e sul ritiro estivo, da settembre, con gli stessi auspici, ci ritufferemo nella magica atmosfera della Champion’s League. Pronti a raccontare e commentare nuove imprese. A guidarci saranno come sempre le sagge parole di Giampiero Boniperti: “Alla Juventus vincere non è importante. È l’unica cosa che conta”.