Il “grande ruggito” è arrivato, il “sogno” si è avverato. E la parola scudetto, che Conte e tutto l’ambiente bianconero hanno accuratamente (e scaramanticamente) evitato di pronunciare per tutto l’anno, ora è diventata realtà. E’ lo scudetto numero 28 o numero 30? Per chi scrive non ci sono dubbi: questa è la terza stella. Uno scudetto strameritato, per la striscia di imbattibilità che è già negli annali della storia della Serie A (37 partite senza sconfitte, mai nessuno ci era finora riuscito, e resta la possibilità di migliorarlo ancora, domenica nell’ultima partita di campionato contro l’Atalanta), per la bellezza del gioco espresso, per la feroce prepotenza con cui la Juve ha messo sotto tutti gli avversari che ha incontrato in casa o in trasferta (o non si è fatta mettere sotto da nessuno, rimontando e uscendo con il carattere da situazioni molto brutte, come a Napoli sotto 1-3, contro il Milan a San Siro, contro il Bologna affrontato nel periodo peggiore della stagione). La partita con il Cagliari era insidiosa al massimo, perché poteva essere (come poi effettivamente è stata) decisiva e arrivava pochi giorni dopo il pareggio rocambolesco con il Lecce, che aveva consentito al Milan di riavvicinarsi pericolosamente. Ma la squadra di Conte, pur spremuta dall’enorme tensione a livello psicologico, ha aggredito subito la partita e gli avversari: in meno di trenta minuti, un gol di Vucinic e altri sette tiri verso la porta di Agazzi. Il Cagliari di Ficcadenti, già salvo, ha avuto il merito di opporre una fiera resistenza, con un pressing molto alto che toglieva spazio al solito possesso palla della Juventus. Con il passare dei minuti, con la tensione che appesantiva le gambe e un po’ annebbiava le idee (Vidal ha pagato a Trieste una stagione giocata ad altissimi livelli), la Juventus non mostrava la solita spavalderia e la solita brillantezza, pur senza mai perdere vistosamente il controllo della partita. E quando Canini, nel disperato tentativo di anticipare Borriello su un cross di Caceres infilava la sua porta, un urlo di liberazione si alzava da tutto il popolo bianconero. E le belle notizie in arrivo da San Siro non facevano altro che suffragare i migliori auspici. A chi va il merito di questo scudetto? Conte continua a ringraziare “i miei ragazzi per qualcosa di straordinario che hanno fatto”. E in effetti, da Barzagli a Vidal tutti hanno dato il 120% per raggiungere un risultato che va al di là di ogni più rosea previsione. Ma è giusto riconoscere i meriti di Conte. Essenzialmente tre. Innanzitutto, ha dato un carattere vincente e indistruttibile a una squadra che, reduce da due settimi posti, era diventata timida e friabile. In secondo luogo, ha dato un gioco che oggi in Europa solo poche altre grandi squadre sanno esprimere e la quadratura del cerchio è stata trovata con grande realismo: Conte aveva impostato la campagna acquisti e il ritiro estivo sul suo prediletto 4-2-4. Poi, convinto dalle qualità di Vidal, ha iniziato un percorso – passando per il 4-4-2 e il 4-1-4-1 – che via via è approdato prima al 4-3-3 e infine al 3-5-2 che è il marchio di fabbrica della Juve campione d’Italia. Infine, ha impostato la corsa del campionato come i 400 metri dell’atletica:
Buona partenza, accelerata nella parte centrale, pausa per riprendere il fiato in curva e sprint sul rettilineo finale. In pratica, partenza accelerata fino alla pausa natalizia, duro lavoro a Dubai per mettere benzina nel motore, rallentamento a gennaio-febbraio, poi da marzo la grande volata finale, in grado di tenere botta anche quando il Milan si è trovato con 7 punti di vantaggio. Ma nel giorno del trionfo è giusto ricordare da dove questa Juve ha dovuto ripartire: 2066 giorni fa eravamo a Rimini, prima partita giocata dalla Juventus in Serie B, un campionato che non si rifiutarono di giocare campioni come Buffon, Del Piero, Nedved o Trezeguet. Sette anni di rincorsa, di ricostruzione, di alti e bassi. Sette anni per poter dire: tremate, tremate, le Zebre son tornate! Ora ci aspettano le ultime due partite: con l’Atalanta per migliorare il record di imbattibilità e contro il Napoli – finale di Coppa Italia – per trasformare un’annata straordinaria in una stagione stratosferica. L’occasione è ghiotta: vincere all’Olimpico significherebbe conquistare – prima squadra in assoluto in Italia – il decimo trofeo. Il tempo dei ruggiti non è ancora finito e dopo la sfida con il Napoli sarà il momento giusto per stilare il “pagellone” di un’annata stellare.