Diciamolo subito, perché “tolto il dente, tolto il dolore”: ci voleva! Una scoppola così ci voleva, anche se il modo e l’entità della sconfitta subita a Firenze bruciano parecchio (perdere con Milan, Inter, Fiorentina e Torino a uno juventino provoca più urticaria del solito). Però era da tanto tempo che la Juventus di Conte non giocava da Juventus di Conte, troppe partite rimediate senza la brillantezza del gioco e la grinta necessaria. E la regola del calcio è spietata: se non giochi bene, prima o poi arrivi a pagare dazio. Poi il calcio – e questo resta il suo inarrivabile e insostituibile fascino – può regalare (sic!) pagine strambe assai.
Eh sì, perché il pesante, inaspettato rovescio bianconero è arrivato, improvviso come un violento temporale d’estate, dopo 70 minuti di cielo sereno e aria frizzante. La Juventus, su un campo ostico per tradizione e contro una squadra che contro i bianconeri gioca sempre la partita della stagione, per tre quarti di gara ha facilmente controllato gli avversari, addirittura nei primi 20 minuti della ripresa è andata vicina al colpo definitivo del k.o. e ai viola non ha concesso un tiro (dicasi un tiro, se non una facile parata di Buffon su punizione telefonata di Mati Fernandez). Poi, il black out, il cedimento strutturale della difesa, del centrocampo, dell’idea di squadra che in questi tre anni Antonio Conte ha costruito scolpita nel cemento armato. Dopo il rigore di Rossi si è aperta una crepa, che nel giro di un quarto d’ora s’è allargata a voragine. E molti juventini hanno rivissuto il “film dell’orrore” di quel derby – 27 marzo 1983 – quando in soli quattro minuti il Torino capovolse a suo favore uno 0-2 della Juve di Platini (e pure di Boniek, Rossi, Scirea…) in un allucinante (per i tifosi juventini) 3-2. Ora si tratta di tirare il fiato, di ragionare, ma velocemente (il Real Madrid incombe). E’ stata una crepa fisica? No, impossibile, la squadra corre, non a tutta birra come nelle annate del doppio scudetto, ma la benzina nel motore c’è, la spia della riserva è spenta. Piuttosto un allarme rosso si è acceso sul fronte della tenuta mentale. Alcune istantanee aiutano a capire.
Prima fotografia. A inizio partita Giovinco e Vidal, destinati alla panchina, entrano in campo sorridenti e gioviali, come se la Juve dovesse affrontare una partita di preparazione estiva sul campo di una squadra di C2 e non la battaglia di Firenze. Oltretutto, Vidal era reduce dalla ramanzina di Conte e dalla multa che gli ha affibbiato la società per essere rientrato in ritardo dalla trasferta in Cile con la sua Nazionale. Dove sono, in quella immagine, gli occhi di tigre che tanto piacciono a Conte e ai tifosi juventini?
Secondo fermo immagine. Ok, Pepito Rossi è un grande calciatore, ha notevole classe e rapidità, ma a molti non sarà sfuggito che sul tiro del pareggio Buffon si è mosso con la stessa rapidità e reattività di un gatto di marmo. Un tiro che molti in tv e allo stadio avevano già battezzato tra i guantoni del portiere della Nazionale. E invece? Lì, a gonfiare la rete. Quest’anno Buffon ha incassato una decina di gol subendo poco più di una quindicina di tiri in porta. Dove sta il problema? Non è più Buffon? E’ solo questione di una statistica-voodoo che si è abbattuta sulla Juventus? E’ il segnale che questa stagione è iniziata in salita e potrebbe proseguire fra mille ostacoli, difficoltà e imprevedibili venti contrari?
Terzo e ultimo scatto. E qui usiamo la parola “scatto” con un velo di ironia, perché parliamo di Pogba. Il giocatore ha qualità notevoli, ha amplissimi margini di miglioramento, ma il primo salto che deve compiere è quello dell’umiltà. Pogba non può più bearsi, come un narciso, nella sua classe limpida, concedendosi spesso una leziosità in più. Il calcio è anche (se non soprattutto) concretezza e semplicità. Come diceva Boniperti (non proprio l’ultimo dei campioni): “La palla viaggia più veloce di qualsiasi giocatore”. E allora Pogba deve darsi una mossa, va bene muoversi aggraziato, ma in certi frangenti è giusto abbandonare il fioretto e mettere mano alla sciabola (cioè aprire subito il gioco, senza tocchi inutili) o addirittura impugnare la mazza ferrata (qualche tackle in più per recuperare palloni a centrocampo non sarebbe male, vista anche la stazza del giocatore…).
Insomma, tre immagini che abbinate alla faccia quasi lacrimevole di Conte in panchina dopo il gol di Joaquin la dicono lunga sul momento non proprio ruggente della Juve. E se cercano un esempio cui ispirarsi, Conte e la squadra possono guardare a Marchisio (nel primo tempo il Principino ha neutralizzato con grinta e abnegazione Cuadrado, andando costantemente a raddoppiarlo) e alla coppia di attaccanti: Tevez (specie quello visto nel primo tempo) e Llorente, che contro la Fiorentina ha dato profondità al gioco, ha difeso il pallone facendo salire la squadra, ha offerto assist a Tevez (azione da cui è nato il rigore), Asamoah (tiro purtroppo centrale) e lo stesso Marchisio (parata fortunosa di Neto con una spalla). Sì, la Vecchia Signora, come la Bella addormentata, deve svegliarsi. Speriamo lo faccia subito nel bosco, incantato e periglioso, del Santiago Bernabeu. Laggiù urge far udire a tutti un bel ruggito!