La partita con il Galatasaray doveva servire per vincere e per convincere. Entrambi gli obiettivi sono stati mancati: la vittoria per un soffio – e il rammarico è ovviamente grande, perché complica il cammino di qualificazione in Champions League -, ma ancora più grande è il rimpianto per non aver visto la Juventus lasciare tracce di partita ruggente e vigorosa. Insomma, restano ancora i dubbi sulla reale forza della terza Juve dell’era Conte. Dopo il derby – conquistato con il minimo sforzo e sfarzo – a spese del Torino, che faceva seguito alle due sofferte vittorie strappate contro Verona e Chievo, la Juventus era chiamata ad alzare l’asticella della qualità e dell’intensità di gioco. Nel nostro campionato, il più delle volte, alla squadra non serve tenere costantemente alzati i ritmi, basta sovente un giropalla decente per tenere a bada gli avversari e portare a casa un risultato utile. In Europa, però, questo tran-tran non è sufficiente, il livello medio delle squadre è più alto e può sempre capitare di dover fare i conti con fuoriclasse per un giorno (il portiere del Copenhagen) e fuoriclasse ben più collaudati (Drogba) capaci di rovinare i piani.

La stagione bianconera sembra essere arrivata a una svolta, e non sarà certo il risultato di domenica sera contro il Milan a cambiare la sostanza del problema. Con i rossoneri conterà certo vincere, ma in palio c’è ben altro: il che ha consentito a Conte di stravincere due campionati in Italia è ancora un modulo, un sistema di gioco, un credo tattico, un grimaldello utile e insostituibile? Non vale forse la pena di provare a cambiare, inventandosi qualcosa che sappia sorprendere gli avversari? Amareggiato dal pareggio dei turchi arrivato un minuto dopo il vantaggio colto con una rimonta che solo dieci minuti prima del gol di Quagliarella sembrava impossibile, Conte – nei commenti post-partita – è sembrato come svuotato. Cambiare? Che cosa volete che faccia? Il ? Ma se ho soltanto Pepe… Giustificazioni valide fino a un certo punto.

Facciamo un passo indietro nel tempo. La Juventus di Vialli-Ravanelli-Del Piero, allenata da Lippi, praticava un 4-3-3 che faceva a meno delle ali (cioè di gente come Pepe, che comunque non è certo da vendere, come incautamente è stato fatto con Marrone). Alle spalle dei tre attaccanti giostravano un regista recuperatore di palloni e play maker come Paulo Sousa e due mastini del centrocampo del calibro di Conte e Deschamps. Terzini erano Torricelli e Pessotto (ma abbiamo visto in quel ruolo anche Porrini e Dimas…). Perché ricordare questi nomi? Semplice: perché, riveduta e corretta, questa soluzione tattica può essere riproposta da Conte. Partiamo dai quattro difensori: Barzagli o Caceres esterno destro, Bonucci e Ogbonna centrali, Chiellini sull’out sinistro. A centrocampo Pirlo (o Pogba) nel ruolo di Paulo Sousa, Vidal e Marchisio (con Asamoah prima alternativa) nel ruolo di interni. E in attacco? Sulle corsie esterne, intercambiabili, possono giostrare Tevez e Quagliarella (con Vucinic e Giovinco possibili ricambi, in attesa che Pepe guarisca dall’ennesimo infortunio) L’Apache ha la stessa forza fisica e i numeri (a partire da quello sulla maglia) di Del Piero: torna per recuperare i palloni persi, sa difendere la palla per far salire la squadra, è bravo nel saltare l’uomo, può andare in profondità. E Quagliarella? Sotto la gestione Del Neri, nel girone d’andata (poi un brutto infortunio gli ha fatto saltare tutto il ritorno) è stato, assieme a Krasic, una pedina fondamentale e decisiva. E dove giocava? Esterno d’attacco: andava a prendersi il pallone, puntava l’uomo, arrivava con facilità al tiro, segnava di piede e di testa. A questo punto, per dieci undicesimi il 4-3-3 dell’era Lippi è quasi fatto, senza dover cercare nomi nuovi sul mercato. Manca solo l’ultimo tassello: il puntero centrale. E qui forse sta l’uomo chiave del cambio tattico. (continua)

Si chiama Llorente. E’ vero, è indietro con la preparazione, si muove ancora con poca scioltezza, gli manca un quid di reattività, ma solo giocando con continuità può ritrovare quelle armi che ne hanno fatto il vice Torres nella nazionale spagnola e un centravanti capace di segnare nella Liga un gol ogni due partite in una squadra come l’Athletic Bilbao, che non vale certo il Real o il Barcellona. E poi la mano di Bielsa lo ha trasformato non solo in un terminale del gioco, ma anche in un attaccante moderno, che sa giocare di sponda per la squadra. E allora ci permettiamo un consiglio, a criniera alta: caro Antonio Conte, perché come Angelino Alfano non getti il tuo quid oltre l’ostacolo? Sì, a te piace un calcio dove contano gli inserimenti a sorpresa dei centrocampisti, basato sulla creazione degli spazi da parte di attaccanti che si sacrificano giocando spalle alla porta. Un modulo che ha funzionato, alla grande, per due anni. Ma ora in tanti ti hanno incasinato la vita (da allenatore) con le opportune contromosse (in verità solo due: marcatura a uomo su Pirlo e nove uomini dietro la palla rintanati davanti alla propria area). E poi quel tipo di gioco è dispendioso, porta la squadra a cercare più le vie centrali (intasando gli spazi) che ad allargare il gioco. Con il 4-3-3 la Juve può scompaginare le carte, giostrare attaccanti che non sono prime punte. La punta centrale – forte, capace di fare a sportellate, di pizzicare i palloni vaganti, di sfruttare anche i cross e il gioco aereo, e che per due anni è mancata alla Juve, a questa Juve vincente (e convincente) – ora c’è. Perché non provare a ruggire – magari già contro il Milan – con il 4-3-3 e con il Re Leone?