C’è del marcio in Danimarca, scriveva il poeta. E pare proprio che l’aria che tira dalle parti della Sirenetta sia abbastanza irrespirabile per la Juventus, che – come un anno fa nella stessa città contro il Nordsjaelland – è andata ancora in apnea contro una squadra danese. Sarà lo smog? Difficile, perché come in tutti i Paesi del Nord Europa l’attenzione all’ambiente è una vera ossessione e alle emissioni non si lascia troppo spazio. Così il Copenhagen – che pure latita nelle retrovie del campionato di Danimarca, non certo uno dei più affascinanti e difficili d’Europa – ha saputo togliere l’aria, soprattutto nel primo tempo, a una Juve spenta, svogliata e contratta. Eppure il clima da Champions League, la composizione di un girone che non sarà affatto una passeggiata superare (per inciso, che signor debutto per il Real Madrid di Ancelotti…) e il campanellino d’allarme suonato sabato contro l’Inter avrebbero consigliato ad Antonio Conte e alla sua truppa un approccio alla partita più battagliero e vivace. Ora, è logico che i danesi abbiano affrontato la sfida con la Juventus sulle ali dell’entusiasmo, pronti a sorprendere con il ritmo e con la generosità, ma proprio queste sono le armi che hanno fatto grande la Juve di Conte. Dove sono finite? Perché i bianconeri se le sono dimenticate nello spogliatoio, se non sul pullman o forse addirittura a Vinovo? I primi 20 minuti sono stati inguardabili. Per tanti motivi: i giocatori passeggiavano in campo (uniche eccezioni un assatanato, forse troppo, Lichtsteiner e un volenteroso Tevez, per il resto sembrava di assistere alle operazioni di recupero della Costa Concordia: una squadra che si muoveva di un grado ogni ora…), difensori che impostavano la manovra a ritmo di moviola; centrocampisti spaesati, soprattutto Pogba e Vidal; non pervenuto Quagliarella come alcune temperature da registrare nelle località più remote del Sannio (poi nel secondo tempo si è rifatto con gli interessi, segnando il gol del pareggio e colpendo una traversa). Ma che succede? Perché si regalano spesso i primi tempi agli avversari? Conte deve trovare subito una risposta a questo enigma, perché in campionato, se si sbaglia l’approccio a una partita, ne restano altre 37 per raddrizzare la situazione, mentre in Champions di occasioni per recuperare ce ne sono sei volte meno. Urge dunque dare una strigliata (alla squadra) e darsi una mossa (a Conte). Detto questo, stiamo comunque parlando di un pareggio che assomiglia a un trompe-l’oeil: il portiere del Copenhagen, Wiland, ha fatto per una sera il Buffon, ha parato il possibile, il probabile, l’impossibile e l’improbabile, sbarrando la strada a Pogba, a Tevez, a Vidal, a Quagliarella, a Pirlo, a Giovinco, allungandosi, opponendo un piede, allargando un ginocchio, alzando il palmo di una mano: 11 (dicasi undici!) parate, di cui due terzi spettacolari e decisive. Senza questo contributo ora staremmo certamente parlando di un trionfo bianconero, di una passeggiata trionfale, di un beneaugurante esordio in Champions. E invece… racimolato un misero punticino là dove il raccolto avrebbe dovuto essere tre volte tanto, anche in prospettiva di differenza reti. E tanto c’è comunque da lavorare per rimediare ad alcune “mancanze”. La difesa – assente Barzagli – perde in granitica sicurezza, si lascia andare a qualche sbavatura di troppo e fatica a trovare il bandolo del gioco con i tempi giusti. A centrocampo, con un Pirlo che appare in evidente affanno fisico-atletico, si sente la mancanza di Marchisio, troppo frettolosamente considerato “superato” da Pogba: il Principino assicura un lavoro oscuro che esalta anche il lavoro sporco di Vidal. Infine in attacco, scoperto un Apache che ha tante frecce al proprio arco, la faretra juventina – assente Vucinic – sta cercando il dardo giusto da affiancare all’argentino. E visto che questa rubrica racconta e celebra gesta ruggenti, perché Conte non ha provato a togliere dal freezer il Re Leone spagnolo? A Copenhagen, forse, per dare aria ai sogni europei della Vecchia Signora gettare nella mischia Llorente sarebbe stato utile. Se di piede la palla non entra, è così scandaloso provare a gonfiare la rete di testa?