La sofferta ma meritatissima vittoria contro il Verona potrebbe aver segnato uno spartiacque importante per la Juventus di Conte. La Vecchia Signora non è stata portata per mano da un distinto professore, ma ha trovato uno scalpitante e scapigliato nuovo accompagnatore, che le ha fatto ritrovare emozioni forti. Fuor di metafora: la Juventus non è stata guidata da Pirlo, perché a trascinarla è stato invece Tevez. Che si sia già consumato il passaggio del testimone è un po’ troppo presto per dirlo, vero è che l’Apache ha giocato una partita di intensità e di inventiva davvero notevoli: ha tirato da tutte le posizioni, ha colpito un carambolesco ma spettacolare doppio palo, ha segnato un gran goal con una bomba laser di straordinaria potenza, ha distribuito assist, ha difeso e recuperato palloni come un mediano qualsiasi. E Pirlo? L’allenatore del Verona, Mandorlini, ha rispolverato su di lui una marcatura a uomo che non si vedeva dagli anni Settanta. Jorginho si è sacrificato su Pirlo incollandosi alla sua ombra per tutto il tempo in cui il regista bianconero è rimasto in campo. E per tutto questo tempo Pirlo ha potuto solo passeggiare a centrocampo, cercando di smarcarsi e toccando rare volte il pallone. E’ uscito più stizzito che sorpreso, alla fine di una partita vista da spettatore in campo e che certo non entrerà nei suoi annali.
Privata forzatamente di Pirlo, la Juventus di Conte ha dovuto fare di necessità virtù. I tre difensori a turno hanno cercato di impostare il gioco e spesso Ogbonna a sinistra e Bonucci sul centro-destra dello schieramento hanno potuto avanzare indisturbati fino ai 35 metri nella metà campo avversaria, giocando più da mezze ali che da difensori. In loro aiuto, in funzione apriscatole (il Verona ha giocato con nove giocatori dietro la palla, lasciando il solo Cacia in posizione offensiva), è intervenuto appunto Tevez. L’argentino si è caricato sulle spalle la squadra, visto che gli spazi erano intasati e dunque Isla e Asamoah non riuscivano ad aggirare gli esterni veronesi, mentre Pogba e Vidal non potevano inserirsi a sorpresa nel traffico intasato dell’area gialloblu. La Juventus è partita un po’ più aggressiva che contro il Copenhagen in Champion’s, ma sulle fasce sono mancate la profondità e la velocità: troppo spesso si è cercata l’imbucata nel mezzo, ma i tentativi sono andati ad arenarsi contro una selva di gambe e maglie gialloblu. Tevez si è fatto insistentemente passare la palla, ha cercato di inventare, di aprire la manovra, di scardinare la difesa avversaria con grinta e colpi di classe, ma a passare in vantaggio, in modo fortuito, è stato proprio il Verona. Solo dopo aver subìto lo svantaggio, gli uomini di Conte hanno cambiato ritmo e aggressività, riuscendo così a pareggiare con Tevez e poi a portarsi in vantaggio, prima della fine del primo tempo, con Fernando Llorente.

Il Re Leone, appunto. Finalmente si è visto in campo e il popolo dello Juventus Stadium lo ha accolto e coccolato con affetto. Alla sua zuccata vincente è scoppiato addirittura un grandissimo entusiasmo. Llorente veniva ormai considerato un Ufo, un oggetto misterioso, già gli sceneggiatori di X-files erano sulle sue tracce. Invece Conte lo ha gettato nella mischia. Lo spagnolo, ancora un po’ ingolfato dai sette mesi di panchina passati a Bilbao e ancora imballato per il duro lavoro svolto durante la preparazione, si è mosso bene: è ancora lento, non perfettamente inserito negli schemi contiani, ma ha difeso con efficacia il pallone, ha duettato nello stretto con Tevez mostrando alcuni buoni tocchi, e soprattutto ha fatto qualcosa che non si vedeva dai tempi di David Trezeguet: ha fatto cioè il centravanti classico, al quale capitano due o tre occasioni e almeno una la sfrutta buttando il pallone in rete. Il cross di Vidal non era una pennellata alla Causio, ma Llorente ha dettato il lancio e non si è fatto trovare impreparato dopo il mancato intervento di Moras: ha spizzicato di testa piazzandola nell’angolo dove il portiere avversario non sarebbe mai potuto arrivare.
Il Re Leone può solo migliorare e se si cala nella parte, inserendosi negli schemi, può diventare davvero, assieme a quel furetto di Tevez, l’attaccante che alla Juventus in questi anni è mancato: il giocatore forte di testa, che può capitalizzare il gioco aereo e che con un solo pallone giocabile può scardinare la difesa avversaria e far vincere quelle partite in cui arrivare in porta con la palla tra i piedi è praticamente impossibile.