La Juventus poteva inanellare la tredicesima vittoria di fila, ma non c’è riuscita. Un po’ di fortuna l’ha salvata dalla sconfitta, ma contro la Lazio, pur in inferiorità numerica, è anche andata vicina a un clamoroso successo. Non a caso, al momento del fischio finale di Massa, la Juventus era in massa (scusate il gioco di parole…) nell’area dei biancazzurri: fino al 90° e oltre gli uomini di Conte non si sono rassegnati all’idea di non poter superare la Lazio pur giocando 10 contro 11. La sfida dell’Olimpico, dunque, ha dimostrato che: 1) Antonio Conte vuole sempre vincere; 2) la squadra e lo spogliatoio sono compatti; 3) l’irriducibilità della Juventus, più passano gli anni, più si rafforza e prende consapevolezza, spostando all’insù l’asticella dell’autostima. Del resto, anche in Coppa Italia contro la Roma se ne era avuta una piccola dimostrazione: Garcia ha schierato la migliore formazione, Conte – pur giocando una partita secca, da verdetto senza appello (o dentro o fuori) – ha preferito risparmiare alcuni titolari e ha messo in campo una sorta di Juve2. In pratica mancavano l’asse portante del gioco (Bonucci-Pirlo), gli esterni titolari (Lichtsteiner e Asamoah) e la coppia di attaccanti più forte (Tevez-Llorente).

Ma torniamo alla partita con la Lazio, perché da questa sfida sono usciti due particolari degni di nota. Il primo è una novità tattica su cui Conte dovrà lavorare da qui alla fine del campionato. Nei primi 20-25 minuti, ancora in parità numerica, la Juventus e la Lazio facevano fatica a esprimere trame di gioco ficcanti. Se per la Lazio il problema risiede nel fatto che Conte ha sempre preparato con cura maniacale la fase difensiva, così da cercare di rendere il meno offensivo possibile il gioco avversario, per la Juve si tratta di una novità tattica ben studiata da Reja e che altri allenatori potrebbero copiare.

Prima, però, è giusto fare un passo indietro. Tre anni fa la Juventus passava come un rullo compressore sopra gli avversari, Pirlo era il metronomo della squadra, dettava i tempi e i passaggi. All’inizio, vuoi anche per la forza fisica dei bianconeri, nessuno riusciva a trovare contromisure adeguate, poi qualcuno ha iniziato a pressare Pirlo per cercare di spegnere la vera fonte del gioco juventino. Per qualche partita la mossa a sorpresa ha avuto effetto, poi Conte ha responsabilizzato Bonucci nel ruolo di playmaker arretrato. E per gli allenatori avversari il gioco della Juventus è tornato a essere un rebus difficile da decifrare. Fino a sabato sera. Perché? Perché Reja ha introdotto il gioco d’anticipo, sistematico e martellante, sugli attaccanti quando vanno incontro ai centrocampisti per ricevere palla. Nel primo tempo, il giochino tattico è riuscito alla perfezione: Tevez e soprattutto Llorente faticavano a ricevere palla, a dare respiro alla manovra, a duettare tra loro, a creare spazi e occasioni. Nel secondo tempo, invece, la contromisura di Reja si è rivelata meno efficace, anche perché la Juve ha aggredito meglio gli spazi e ha alzato i ritmi di gioco. Ma c’è da pensare che più di un allenatore abbia preso nota della mossa tattica e si appresti a riutilizzarla.

E qui si entra sul secondo particolare interessante emerso nella partita con la Lazio. A domanda precisa (“La Juve nei primi 20-25 minuti ha faticato a trovare il bandolo della matassa: questione tattica o psicologica?”), Conte ha risposto: “Questione di tempo”. Cioè?

Lapalissiano, è questione di tempo: la Juve lavora ai fianchi l’avversario, tende a fiaccarne la resistenza, a costo anche di far fatica a trovare gli spazi. E in effetti i dati danno ragione a Conte: la Juventus vince le partite soprattutto nel secondo tempo, quando la fatica e lo stress annebbiano la forza. E’ lì, in quel momento, quando gli altri abbassanno un po’ la guardia, che la Juventus invece pigia ancora sull’acceleratore. E a conforto di questa evidenza (supportata dal lavoro preziosissimo dello staff tecnico-atletico) spicca un altro dato statistico: mai, nei tre anni di Conte, la Juventus ha corso così tanto a gennaio, mese “tradizionalmente” difficile (visti i carichi di lavoro imposti da Conte durante le pause invernali) prima dell’allungo finale da primavera a maggio.