Il derby è sempre una partita difficile da giocare. Ma quello di quest’anno è anche molto difficile da decifrare. Che cosa dice l’1-0 con cui la Juve, oggi stanca e imballata, ha regolato i conti con un Toro arrivato all’appuntamento pimpante, aggressivo e bellicoso? Non c’è una risposta sola, perché tutto dipende dal punto di vista che si vuole assumere per esprimere il giudizio. E’ il classico caso del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto.

Partiamo dal bicchiere mezzo pieno. Il Torino si è presentato allo Juventus Stadium sulle ali dell’entusiasmo. Gioco, gol, punti nelle ultime partite. Convinzione nei propri mezzi a mille. Un talento come Cerci in grande spolvero. Un centravanti come Immobile capace di esaltare le sue caratteristiche un po’ da bomber vecchia maniera (boa e terminale della manovra) e un po’ da attaccante modernissimo (capace di svariare su tutto il fronte d’attacco e pronto a sacrificarsi nella marcatura su Pirlo). Tutto cospirava per una gara complicata, con la Juve costretta a frenare gli ardori del Toro, storicamente squadra più forte dal punto di vista del temperamento. E poi i bianconeri visti in Europa League con il Trabzonspor non avevano ben figurato, soprattutto nel secondo tempo, con le gambe pesanti e i riflessi annebbiati, risparmiati da una squadra turca volenterosa ma nulla più. E invece? Sul campo più che assistere a un “Ok Corral” di grande tensione emotiva, è andata in scena una lunghissima (almeno per 70-80 minuti) partita a scacchi.

La Juve ha controllato la partita con calma olimpica, ha risparmiato energie preziose sia sotto il profilo fisico che psicologico. Pur creando poco e pur non potendo contare sulla brillantezza di alcuni dei suoi elementi di spicco (Vidal, Pogba e Llorente su tutti) con Caceres ha spento Cerci (il pericolo numero uno) e grazie al talento e al sacrificio di Tevez è riuscita a segnare il gol vincente, a mettere in cassaforte altri tre punti e a non subire troppo una reazione granata che non ha mai portato seri pericoli contro Buffon. Da qui a fine campionato, soprattutto allo Juventus Stadium, partite di questo tenore se ne vedranno molte: avversari chiusi a riccio nella propria metà campo, pronti a difendere il fortino, a non farsi travolgere dalla squadra di Conte per poi tentare il blitz nel finale di gara, magari su calcio piazzato, dove la Juve continua a…

…evidenziare più di un’incertezza. Intanto – e siamo sempre nel campo dei segni “+” – la Juve veleggia a 66 punti, 11 in più dell’anno scorso e vanta uno score immacolato allo Juventus Stadium: 13 sfide, 13 vittorie.

Veniamo ora al bicchiere mezzo vuoto. Gennaio, tradizionalmente, non è mai stato un mese generoso per Conte, perché la squadra, spremuta da una preparazione invernale molto intensa, fatica a trovare scioltezza e rapidità. Anche febbraio è un mese dove non tutto e non sempre fila liscio. E fin qui siamo nella normalità. Ma ora il dubbio sorge: la squadra che ha infilato un filotto record di vittorie consecutive ha bruciato più benzina del dovuto? E ora che per un paio di mesi sarà costretta a giocare in pratica ogni tre giorni, con ridotte possibilità di recupero, come e dove attingerà le risorse di freschezza e di determinazione necessarie per non farsi rosicchiare terreno da una Roma che – le va dato merito – non perde un colpo e continua a giocare un calcio effervescente e redditizio?L’impressione è che lo staff di Conte abbia comunque calcolato tutto e che ben presto ingranaggi e ritmi torneranno a girare come ai bei tempi. Ma una prima risposta probante – e senza appello – arriverà già giovedì con il Trabzonspor. Si parte da un rassicurante 2-0: perdere di misura a Trebisonda ci può anche stare, ma guai a perdere la Trebisonda, perché gli effetti negativi sul campionato potrebbero farsi sentire già 72 ore dopo in casa di un Milan che piano piano Seedorf sta cercando di svegliare dal coma profondo in cui era caduto. E allora, se il fiato e la condizione atletica lo permettono, urge tornare presto a ruggire.