Allegri ha concesso il bis. Non era così scontato. Primo, perché il nuovo allenatore della Juve (anche nell’anno in cui vinse lo scudetto con il Milan) non è affatto abituato alle partenze sprint, anzi. Secondo, perché l’esordio ufficiale allo Juventus Stadium poteva riservare qualche insidia. C’era curiosità per verificare come il popolo bianconero avrebbe accolto il nuovo mister. Che cosa sarebbe successo se l’Udinese fosse passata in vantaggio? E come sarebbe stata accolta dai tifosi una condotta di gara poco convincente? Per fortuna Allegri e la squadra hanno fugato i dubbi dopo soli otto minuti: è bastata una ficcante azione verticale sull’asse Pereyra-Lichtsteiner per portare Tevez a segnare il gol del vantaggio. E la prima mezz’ora di Juve – per stessa ammissione di Stramaccioni – è stata una dimostrazione di forza che ha convinto molti osservatori: il giudizio unanime – a conferma di quanto di buono era già stato fatto contro il Chievo – è che la Juve ha ripreso il filo del discorso proprio dallo stesso punto in cui l’aveva lasciato conquistando il suo terzo scudetto consecutivo inerpicandosi fino alla vetta record dei 102 punti. Intensità, concentrazione, controllo del gioco restano sui livelli abituali.

Rispetto all’era Conte, però, la squadra mette in campo una ferocia minore, non è assillante e arrembante come nei tre anni precedenti. Allegri sa che deve gestire giocatori che in tre anni sono stati “spremuti” sul piano fisico e psicologico; sa che deve gestire un gruppo nutrito di giocatori – italiani e non – che hanno disputato un Mondiale. Sa che questa squadra deve imporre il gioco non solo sprigionando tutti i watt a disposizione e mantenendosi sempre su velocità elevatissime. Allegri, nel suo disegno strategico di graduale passaggio dal 3-5-2 contiano al 4-3-3 a cui ambisce, sa perfettamente che deve solleticare altre corde che non siano solo quelle dell’atletismo puro. E poi predilige il possesso palla, il controllo del gioco, fedele alla massima di Giampiero Boniperti: il pallone corre sempre più veloce del più veloce giocatore avversario. Dunque, meglio averlo sempre tra i piedi, che doverlo rincorrere con un pressing più o meno asfissiante; dunque, che a correre e sfiancarsi siano gli avversari.

Non siamo certo al tiki-taka del Barcellona, ma il concetto è quello. Contro il Chievo la Juve ha esercitato un 75% di possesso palla che con l’Udinese è calato a un meno roboante 56%, ma nei primi 20 minuti del secondo tempo i bianconeri hanno lasciato il pallino del gioco ai bianconeri friulani. Ma – giova ricordarlo – in due partite Buffon è stato chiamato a effettuare una sola parata degna di questo nome, segno che la fase difensiva della squadra per ora funziona bene (ma già sabato contro il Milan il test sarà più probante).

Dai singoli sono arrivate buone indicazioni soprattutto da Caceres e Bonucci in difesa, ma pure Ogbonna ha messo in mostra una maggiore personalità al cospetto di due velocisti come Muriel e Di Natale. A centrocampo, oltre alla conferma di Lichtsteiner, pendolino svizzero che ara la fascia come un trattore Deutz, va segnalato il primo tempo incisivo di Pereyra (un po’ scomparso nella ripresa) e la prova convincente di Pogba (che sembra ancora andare a marce ridotte rispetto al suo enorme potenziale) e di Marchisio. Quanto a Evra, al suo debutto, ha offerto un rendimento senza sbavature sia in campo che nell’intervista post-partita. Infine, in attacco, bene sia Tevez che Llorente nella difesa del pallone, mentre Morata in soli quattro minuti ha fatto intravvedere di che pasta è fatto: attaccante mobile, potente e capace di vedere la porta e di smarcarsi con finte da centravanti puro.

Ora sotto con il Malmoe in Champion’s League. Contro i vichinghi del Nord nessuna paura, non c’è spazio – come nei due anni precedenti contro Nordsjellands e Copenhagen – per belati da pecora: si deve partire subito con un ruggito degno del leone della Metro Goldwin Mayer!