Ha proprio ragione Gianluca Vialli: con la partita di San Siro contro il Milan si è tagliato il cordone ombelicale che legava la Juventus ad Antonio Conte. Sì, lo schema tattico è lo stesso, l’ultravincente 3-5-2, ma interpretazione e spirito dello spartito sono diversi, sono più a misura di Massimiliano Allegri. Ritmi più umani, testa più sgombra, molto possesso palla. La staffetta è evidente: tanto era agonisticamente furiosa e simile a un mare in tempesta che infrange i suoi flutti contro gli scogli la Juve contiana, così è calma (ma non è bonaccia, piuttosto è una calma che coincide con la virtù dei forti) e paziente la Juve versione Allegri. Quella, duellava rodomontescamente con chiunque menando sciabolate e fendenti; questa, va di fioretto, anzi, quasi in punta di ago, perché tesse e ritesse senza sosta, come un ragnetto instancabile, la sua tela, invischiando e raggomitolando gli avversari, che all’inizio provano a dimenarsi, poi piano piano perdono le forze, finchè si apre lo spiraglio giusto per iniettare il veleno letale. E’ successo con il Malmoe in Champions, si è ripetuto con i rossoneri in campionato. Due partite diverse, eppure stessa trama, stesso epilogo a favore dei bianconeri. Certo, gli svedesi erano più forti fisicamente, portati a un difensivismo compatto e stentoreo, ma la ragnatela juventina, via via sempre più stretta e rapida, li ha indeboliti, fiaccandone la resistenza. Il Milan di Inzaghi, disegnato a immagine e somiglianza del suo allenatore, è invece una squadra tutta scatti, ripartenze, folate. Ma di tutta questa effervescenza non si è vista traccia, tranne che in sparutissimi momenti. La Juventus di Allegri macina (gioco e avversari) come una mola, gira lentamente ma costantemente, sa quando è il momento di polverizzare e quando è il momento di triturare. E poi c’è quel possesso palla che fa letteralmente girare la testa agli avversari, anche se si tratta di mastini ruba palloni del centrocampo del calibro di De Jong, Poli e Muntari. Niente da fare: riesci a bloccare Pogba, e d’un tratto ti vedi comparire davanti un ficcante Pereyra; provi a tamponare l’argentino, e ti accorgi che ti sei completamente dimenticato di Marchisio; decidi di neutralizzare il Principino, e a quel punto Pogba torna sontuosamente alla ribalta. Il tutto condito dalla splendida condizione (atletica, psicologica e tattica) di Tevez: l’Apache non è più costretto – come negli schemi di Conte – a giocare spalle alla porta; Allegri ne ha un po’ allargato e arretrato il raggio d’azione, quasi da trequartista o mezzapunta, ma gli occhi sono dritti sul portiere avversario e quando riceve palla (come da splendida imbucata di Pogba) può caricare subito l’arco e scoccare le sue frecce avvelenate. Note positive sono arrivate anche da Angelo Ogbonna. Schierato in sostituzione di Caceres sul lato destro della difesa, Ogbonna si è disimpegnato alla grande, sembra aver messo da parte le sbavature e le paure dello scorso anno e, sorretto dal fisico da granatiere che si ritrova, fa sentire – al pari di Chiellini sull’altro versante – tutto il peso della sua forza atletica: duro nei contrasti, veloce nei ripiegamenti, deciso quando è il momento di fare fallo tattico. E che dire di Pereyra? L’argentino non si segnala soltanto per la cresta alla Vidal, perché sembra già incamminato sulle orme del cileno: meno feroce nel recupero palla di Re Arturo, ma altrettanto micidiale negli inserimenti. Ora deve solo cercare di aggiustare la mira e di essere più cattivo sotto porta. Dalla sfida con il Milan, comunque, la Juve ha tratto la convinzione che, dopo le sferzate furiose di Conte “Mr Hyde”, anche con l’aplomb di Allegri “Dr Jekyll” non ha perso nulla del suo Dna vincente e convincente. E ora, sotto con il Cesena, senza abbassare la criniera!