Viviamo un periodo di instabilità. Il ritorno della guerra in Europa dopo la fase pandemica pesa sull’economia con la crescita dell’inflazione e non consente di affrontare i temi della definizione dei nuovi parametri necessari per impostare una fase di sviluppo che rilanci l’inclusione sociale.
In questo contesto il lavoro subisce variazioni profonde e sembra una scialuppa in balia delle correnti. In poco tempo si è passati dalla teorizzazione del superamento della necessità di lavorare, decrescita felice più sussidi per tutti, a investimenti tesi a creare nuove occasioni di lavoro per poi ritrovarsi di fronte alla nuova realtà che è difficile trovare gli addetti che servono.
Dalla scarsità dei posti di lavoro alla scarsità di lavoratori in meno di un quinquennio. Un mutamento che incide certamente su come si vive il lavoro e come il lavoro assume importanza nella vita delle persone.
Fondazione per la Sussidiarietà e Unioncamere hanno dedicato un interessante incontro al tema de “Il senso del lavoro di fronte ai cambiamenti”. Cambiamenti strutturali vi sono stati. Guardando il mercato del lavoro italiano sul lungo periodo abbiamo una crescita degli occupati nel settore dei servizi che porta a un aumento del tasso di occupazione complessiva. Siamo però ancora in pochi a lavorare riaspetto alla partecipazione al mercato del lavoro degli altri Paesi avanzati. Diminuiscono i redditi da lavoro rispetto ai trasferimenti pubblici a causa dell’aumento della popolazione anziana rispetto a quella in età di lavoro. Restano le disparità che penalizzano le donne e chi nasce nel Mezzogiorno.
La crescita del lavoro nei servizi a basso uso di tecnologia ha fatto emergere la crescita del lavoro povero. Posti che non assicurano un salario che assicuri “la riproduzione della forza lavoro”.
Su questa situazione si presentano oggi i problemi posti dalle trasformazioni tecnologiche e dalla riorganizzazione del lavoro indotto dalla esperienza dei lockdown imposti dalla pandemia. Tutto ciò ha promosso un’accelerazione di trasformazioni in corso che hanno coinvolto profondamente il rapporto delle persone con il lavoro.
Vi è un peso minore assegnato al lavoro fra gli interessi che vengono perseguiti. Se il lavoro rende meno in termini di sviluppo personale investirò meno su quello e cercherò su altri piani la risposta al mio desiderio di utilità sociale.
Da qui esce la gerarchia di richieste che arrivano dai giovani alla ricerca di un posto di lavoro. Conta certamente il riconoscimento economico, ma accompagnato dalla conciliazione vita/lavoro, dalla condivisione di valori dell’impresa e dagli elementi di sicurezza nella crescita di competenze e di percorso di crescita.
Sia gli enti preposti all’istruzione e alla formazione che le imprese sono spiazzati dalla forza con cui questi temi sono posti dai giovani che arrivano sul mercato del lavoro. Quello che era un punto comune di giudizio, cioè che era tensione comune impegnarsi per una crescita delle opportunità collettive attraverso il lavoro, ossia lo sviluppo sociale passa per il lavoro di tutti, si è spacchettato lungo percorsi diversi. Le cose non hanno più lo stesso nome per tutti. La domanda di personalizzazione delle opportunità mette in discussione la socialità delle soluzioni.
La domanda che è leggibile in questi comportamenti rimanda alla centralità della persona e a svolgere una riflessione che rimetta posto le cose. Centrale è la persona al lavoro e non il lavoro per la persona.
La riflessione portata al convegno dalla Presidente della Corte Costituzionale e altri suoi autorevoli colleghi ha sviluppato questo tema alla luce dell’affermazione della “Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Unica nel mondo la Costituzione italiana fissa nel lavoro le radici del suo essere democratica. Appare così come la nostra tradizione culturale abbia saputo portare la necessità del lavoro dell’uomo a essere valutata importante assieme alle forme più avanzate della convivenza. La necessità del lavoro nasce come risposta ai bisogni personali e sociali, bisogni che sono infiniti e perciò non c’è la data della fine del lavoro. Ma se cede il senso assegnato al lavoro cede anche il senso di appartenenza collettivo, cede la partecipazione alla democrazia.
Dal convegno sono state avanzate anche prime indicazioni su come rispondere alle domande che il lavoro sta ponendo. C’è sicuramente una componente eminentemente economica. Non si tratta della questione del salario minimo quanto della crescita della quota di reddito assegnata al lavoro. La crescita dei salari e delle condizioni di lavoro deve interessare il complesso dei lavoratori dipendenti. Ma la questione del lavoro non è mai stata solo economica. Lo slogan delle lavoratrici americane chiedeva “bread and roses”, pane e rose, e oggi le domande più difficili riguardano proprio le rose. Orario di lavoro, flessibilità, diritto alla formazione permanente, chiarezza sulle possibilità di crescita personale, servizi per consentire di conciliare famiglia e lavoro, certezza nelle tutele e nei diritti sono i temi su cui imprese e lavoratori devono riuscire ad aprire un dialogo più avanzato.
Insieme a questo cresce la necessità di ambiti di partecipazione dei lavoratori alle scelte dell’impresa. Vale per le medio grandi, ma vale anche per le piccole attraverso lo sviluppo della contrattazione territoriale. Il percorso non può essere fatto però individualmente. Da solo l’uomo mette a frutto e sviluppa quanto raccolto nel percorso educativo. È attraverso un rilancio del ruolo dei corpi intermedi, nel caso specifico delle organizzazioni sindacali, che è possibile superare una fase corporativa e rilanciare una partecipazione del lavoro alla più generale responsabilità sociale.
L’Organizzazione mondiale del lavoro ha posto il problema di una nuova governance per restituire centralità alla persona al lavoro. Significa estendere tutele e diritti in un mondo dove ancora la maggioranza degli uomini lavora in condizioni di schiavitù o lavoro nero. Noi abbiamo iscritto il lavoro come base costituzionale della nostra convolvendo democratica perché è la storia del popolo italiano che ha promosso la dignità del lavoro come centrale nella responsabilità di appartenere a un corpo sociale.
La conclusione di Vittadini è stata proprio nel rilanciare la necessità di mettere la dignità del lavoro al centro delle legislazione del lavoro che verrà elaborata, in una comunicazione capace di trasmettere il positivo della realtà, di una scuola che valorizzi le doti di tutti e di corpi intermedi che sappiano essere promotori di una nuova fase in cui il senso del lavoro sia base per un nuovo sviluppo della società.
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