Gli indicatori del mercato del lavoro si mantengono tutti positivi. Nonostante previsioni di calo della crescita economica, la realtà ha attenuato gli effetti di crisi da crescita dei prezzi dell’energia e dalle difficoltà del processo di globalizzazione. Il tasso di occupazione continua a salire realizzando nuovi livelli massimi, cala la disoccupazione e il tasso di attività rimane alto. Nelle zone più industrializzate del Paese la disoccupazione è tornata a livelli frizionali, intorno al 3%.
Restano i gap per l’ingresso dei giovani al lavoro e resta basso il tasso di occupazione femminile. Sono temi che senza politiche mirate non troveranno a breve una soluzione dato che hanno cause storiche per il nostro mercato del lavoro. Ciò che però si evidenzia sempre di più è l’emergere di forti insoddisfazioni che riguardano sia chi sta cercando nuovi lavoratori da impiegare in azienda, sia un rifiuto per lavori che non offrono soddisfazione.
L’ormai famoso mismatching viene visto spesso dal solo lato della non corrispondenza fra competenze dei lavoratori ed esigenze del sistema produttivo. È questo certamente un tema esistente e richiede interventi forti per creare un sistema di orientamento capace di indirizzare le scelte nella fase della selezione dei percorsi formativi. Si deve saper assicurare anche un’offerta formativa coerente e un sistema di scuola-lavoro capace di supportare i cambiamenti favorendo l’apprendimento on the job.
È altrettanto evidente che c’è un mismatching che viene lamentato da chi un lavoro lo cerca. Il nostro sistema economico e produttivo sviluppa una domanda di lavoro che lascia fuori, o impiega con un demansionamento, molti giovani che pure sulla formazione delle competenze hanno investito. Colpa certo di un sistema che vede ancora una forte presenza di piccole imprese che non occupano figure con livelli di formazione alti, ma anche di blocchi e ritardi fra i diversi settori economici che frenano la mobilità e la produttività del sistema nel suo complesso. Uno degli esempi più evidenti è il ritardo della modernizzazione della Pa che così rischia di non riuscire a reclutare quelle professionalità alte che servirebbero per dare piena attuazione al Pnrr.
È in questo contesto che possiamo cogliere un cambiamento profondo del rapporto con il lavoro espresso dai giovani che si affacciano ora al mercato. Sul tema della rappresentazione del lavoro degli italiani è stata presentata nei giorni scorsi una ricerca commissionata da Federmeccanica e realizzata da Daniele Marini di Community Research Analysis.
Se per molti esperti del mercato del lavoro risulta difficile accettare l’idea che il posto fisso è stato sostituito da un percorso di lavori che si intreccia con la vita delle persone, questa è l’idea di lavoro che prevale nei giovani lavoratori. E vale sia per la fascia di laureati che per i giovani con basso livello di formazione. Il lavoro che viene privilegiato è quello che permette di vedere un percorso di crescita delle opportunità. Queste riguardano sia il percorso di carriera lavorativa ma anche come si intrecciano con le esigenze di vita che ci si augura nel futuro. Qualità del lavoro e impatto sulla qualità della vita emergono con forza dopo il periodo di lockdown del Covid. Per chi già occupato ha sperimentato lo smart working, la ricerca di un nuovo equilibrio fra tempo di lavoro e tempo di vita è diventato un must per scegliere fra diverse opportunità lavorative. Per chi è arrivato al lavoro nella fase pandemica la frattura è ancora più accentuata. Emergono spinte a considerare il lavoro sempre più un peso perché se ne coglie sempre meno il significato. Si vede solo la catena di comando, spesso è l’algoritmo e non una relazione con persone, ma così non resta che puntare a massimizzare il personale tornaconto senza più vedere l’utilità sociale e relazionale del proprio lavoro.
Se non viene dato peso al posto come garanzia di stabilità si può dire che anche lo stipendio non è la variabile che trascina le scelte. Certamente conta il livello salariale per determinare la scelta, ma fra opportunità equivalenti. Bisogna pagare di più chi ha investito di più per acquisire competenze. La parte solidale si ferma a dire che a tutti vanno offerte le opportunità di provarci. Solo le fasce a più bassa preparazione sono per scelte egualitariste. Insomma, meritocrazia e solidarietà. Sono gli ambiti con cui valutare sia l’equità salariale che l’organizzazione del lavoro. Sicurezza, ambiente, welfare aziendale e possibilità di partecipazione diventano criteri di valutazione delle imprese per operare la scelta del lavoro.
La cultura delle imprese dovrà fare un salto per adeguarsi non solo nei colloqui e nelle prove per le assunzioni, ma nella cultura della gestione delle risorse umane e nella cura delle relazioni sociali. Ciò vale in particolare per il settore industriale visto che nell’indagine la maggior parte dei giovani associa alla parola industria, oltre a molti non so, termini che la identificano col passato e un passato da archiviare.
Di fronte a questi dati emergono molte riflessioni da sviluppare. Interessano gli imprenditori che hanno commissionato la ricerca e che devono lavorare per rendere attrattivo l’impiego nell’industria metalmeccanica. Ma la sfida riguarda anche le organizzazioni sindacali se vogliono essere interlocutrici dei giovani lavoratori. Il cambiamento della cultura del lavoro è in atto. Apparentemente il mito del successo individuale porta a cercarlo al di fuori di ogni legame sociale. La volontà di prevalere l’uno sull’altro porta alla perdita del senso del lavoro. Il lavoro appare solo come un obbligo. La vita diventa solo il tempo rimanente. La rottura del lavoro come momento della relazione con gli altri e come risposta a bisogni sociali fa diventare il lavoro un vincolo e non un’opportunità. Per chi ha costruito il proprio essere sulla solidarietà che nasce dalle relazioni create dal lavoro si apre un’enorme sfida per ricreare nel lavoro un’esperienza desiderabile.
Passa da qui il recupero del valore da dare alla propria capacità lavorativa, alla coscienza che il proprio lavoro è risposta al bisogno di un altro. Farlo e farlo bene dice della propria relazione con il mondo.
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