In questi ultimi mesi il Paese si è diviso tra il tema del Reddito di cittadinanza e quello del salario minimo senza però affrontare il senso del lavoro in un contesto storico che ha creato due rive, quelle dei lavori tradizionali di stampo fordista e quella dei lavori che nascono senza diritti e sono poco retribuiti o non hanno un’occupazione.



Nel pensiero dei padri costituenti il lavoro è paragonabile a un esodo. Durante i lavori della Costituente, Costantino Mortati definì il principio lavorista attraverso il principio democratico, quello personalista e quello solidarista. Non deve allora sembrare una provocazione leggere che la Repubblica «è fondata sul lavoro» (art. 1), da cui discendono diritti e doveri per contribuire al progresso «materiale e spirituale della società» (art. 4 Cost.). Lavorando, la persona si costruisce e cresce anche spiritualmente perché per i costituenti il lavoro era inteso come un «atto creatore». Per questo il compito della politica è generare valore e non favorire l’assistenzialismo.



La spiritualità è ricerca di trascendenza: è ricerca di un incontro, desiderio di amicizia. È sentire di colmare un vuoto di una presenza che pone in movimento e ci invita a uscire da noi. Quando nel lavoro si evoca lo spirito di un team oppure lo spirito aziendale significa puntare la freccia verso qualcosa che manca per colmarlo. È la dimensione spirituale che ci permette di progredire verso il non ancora che è, anzitutto, tensione a un incontro.

L’energia spirituale nel lavoro rigenera anche leggi e a consuetudini Alcuni dati ne dimostrano l’urgenza: il 60% dei bambini delle scuole elementari farà un lavoro che oggi non esiste ancora; gli italiani che sono emigrati all’estero per cercare lavoro sono quasi 250.000; su quattro lavoratori quasi tre sono pensionati; un lavoratore su 10 è straniero e di questi quasi il 20% è laureato. Ma c’è di più: mentre l’occupazione è salita il tasso di disoccupazione giovanile sfiora il 40% mentre le imprese non riescono assumere il 25% delle figure professionali di cui hanno bisogno per mancanza di formazione (tecnica) adeguata. I giovani italiani subiscono la transizione scuola-lavoro più lunga in Europa, occorrono circa tre anni prima di trovare un lavoro che li possa mantenere.



Per gestire la denatalità, la longevità, la crisi della famiglia e l’ondata di emigrazione italiana va rilanciato un grande “sì generativo al lavoro” per far rilanciare le politiche sociali dell’Italia e ripensare gli stili di vita appiattiti sul consumo e sulla prestazione, sulla competizione e sulla solitudine del lavoratore.

L’alleanza nata nel tempo della pandemia, invece della competizione aveva privilegiato la comunione tra tutte le parti sociali, tra imprenditori, società e il sindacato. Il lavoro oggi ha bisogno di corresponsabilità, fedeltà, partecipazione, risoluzione positiva dei conflitti, motivazioni interiori forti e uno spirito cooperativistico per superare quello consumistico. Molte aziende investono nella loro formazione, ma ignorano il fondamento di ciò che il mercato non produce e il denaro non può comprare: il ritorno alla vita spirituale per rigenerare il lavoro.

È per questo che l’amicizia sociale e la fraternità posti al centro nel dibattito pubblico dall’enciclica di Francesco, Fratelli tutti, aiutano a spezzare il pane insieme. Per farlo però occorre garantire a tutti l’accesso a ciò che produce il pane: il lavoro. Lo ribadiamo. L’amicizia e il lavoro per don Giussani corrispondono a ciò che la persona ha bisogno dopo aver vissuto “un incontro” che lo ha trasfigurato. Nel suo volume L’Io il potere e le opere scrive: “Il vero non è mai un’idea astratta, è sempre dentro la carne”. È nella carne del lavoro – in cui gli uomini e le donne diventano ciò che fanno – che occorre ritrovare il fuoco della spiritualità nel lavoro che risponde al “per chi” viviamo e al “perché” creiamo.

Ce lo insegnano quei lavoratori che vivono le loro occupazioni – apparentemente semplici o considerate inutili – con la pace nel cuore, il sorriso sulle labbra, la disponibilità a incontrare gli altri, la convinzione in coscienza di compiere qualcosa che è buona in sé. 

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