Tre miliardi e seicento milioni di euro non sono bruscolini. Sono la cifra complessiva di risparmio sugli acconti Irpef di novembre che il governo lascerà nelle tasche dei contribuenti italiani, ipotecando un introito dello “scudo fiscale” che nelle speranze aggiornate dovrebbe superare il totale di 6 miliardi di euro.

In che modo saranno spalmati questi sconti fiscali, non è dato esattamente saperlo, oggi, ma fa fede – fino a prova contraria – l’impegno preso dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Paolo Bonaiuti a tener fede all’interesse “verso le persone meno privilegiate” che dovrebbe far presagire una proporzionalità inversa degli sgravi rispetto al reddito dei contribuenti.

Tutto bene, dunque? Fino a un certo punto. Perché le risorse dello scudo rischiano di far la fine, almeno nei “desiderata” dei partiti di maggioranza, dei carri armati di Mussolini, sempre lo stesso battaglione che veniva fatto girare per mezza Italia per dare un’idea di potenza che non rispondeva alla realtà.

Già, perché dagli introiti fiscali dello scudo – che, si badi bene, non sono ricorrenti, ma tipicamente “una tantum”: è impensabile ripetere un’operazione straordinaria del genere ogni anno! – oltre a finanziare i risparmi Irpef si vorrebbe anche ripristinare gli 800 milioni di investimenti tagliati per la banca larga, finanziare la Banca del Sud, ridare credito alle Regioni meno sviluppate… ecc.

Il che è chiaramente inverosimile. Cosa dovremmo dedurne, allora? Che siamo al solito populismo, alle solite sceneggiate populiste per accontentare con qualche fettina di salame l’elettorato senza mai incidere nel fondo dei problemi? Forse, stavolta, una conclusione del genere sarebbe ingenerosa.

Perché per la prima volta da sempre – comprese le mai abbastanza esecrate gestioni di Vincenzo Visco alle Finanze – c’è un governo italiano che “fa sul serio” contro i paradisi fiscali, prima fra tutte la Svizzera (allineandosi in questo con la linea dura dell’Unione europea), ma subito dopo la Svizzera anche San Marino. Si ha per la prima volta l’impressione che il nostro fisco voglia chiudere i battenti ai capitali sporchi, sporchi di evasione se non d’altro, che dopo essere stati appunto evasi cercano disperatamente porti sicuri dove fruttare ed essere periodicamente utilizzati al riparo dal fisco.

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È chiaro che questo genere di stretta di redini è il sacrosanto contraltare alla linea morbida dello scudo, che si inserisce nella tradizione quasi secolare dei condoni fiscali italiani, quel malcostume che ha convinto gli evasori che a evadere si viene premiati e i contribuenti onesti che pagare le tasse è da fessi. Ecco: per la prima volta a un condono fa riscontro davvero una stretta di freni. La rabbia della Svizzera e la disperazione di San Marino ne sono le migliori riprove.

 

E allora, se davvero questa è la linea del governo, diamo fiducia a Tremonti e prendiamo per buona la sua scelta: concedere subito quel poco che si può con il taglio degli acconti e cambiare musica dal prossimo anno con la cortina di ferro contro i paradisi fiscali. Perché è lì che va ad annidarsi la grande evasione nociva, quella da prosciugare, ben al di là del tabaccaio che qualche volta trascura uno scontrino. Se Tremonti ci riuscirà davvero, tanto di cappello, ma già che ci stia provando – e questo è un fatto – lascia finalmente ben sperare.