Lo 0,2 per cento degli italiani dichiara al fisco un reddito imponibile superiore ai 200 mila euro all’anno. Circa 140 mila contribuenti. Il Paese legale, insomma, ha relativamente pochi benestanti tra le sue file. Il Paese reale, però, immatricola ogni anno 15 mila natanti lunghi più di 10 metri. E centomila automobili dal costo unitario superiore ai 50 mila euro. Tanto per fare due esempi semplici semplici.

A sfogliare le pagine e pagine di dati che l’Agenzia delle Entrate periodicamente sforna i paradossi si sprecano, da sempre. Sarà così ancora a lungo? Da sempre e per sempre? Ogni governo ripropone per questa domanda risposte sue proprie che però, purtroppo, non raggiungono mai il successo. La “mano forte” dell’ex pluriministro delle Finanze Vincenzo Visco aveva fatto ben sperare i suoi (pochi) supporter, ma la pur energica gestione del fisco tra il 2006 e il2008 ha avuto risultati più significativi sul piano della propaganda che su quello della sostanza.

La nuova gestione di Giulio Tremonti, quella attuale, si è imbattuta sul nascere in una crisi economica senza precedenti, tale da vanificare qualunque previsione e qualunque confronto su gettito fiscale, evasione, elusione e quant’altro. Nessuno ha potuto accusare Tremonti di lassismo. Ma neanche elogiarne i successi, che non potevano esserci e difatti non ci sono stati.

Una componente essenziale della maggioranza di governo, la Lega, ripete come un mantra che la panacea di tutti i mali fiscali italiani risiede nella piena attuazione del federalismo fiscale. Avvicinando fino a farli coincidere i centri decisionali della spesa pubblica con quelli del pubblico prelievo, dicono i leghisti, i contribuenti pagheranno più volentieri, e quindi spontaneamente, le loro brave tasse, felici di poterne misurare direttamente l’impiego e gli amministratori saranno stimolati alla massima efficienza dalla consapevolezza di dover venire incontro concretamente, con i fatti, alle attese di una cittadinanza che sa di essere “spremuta” direttamente da loro.

Utopie, per non dire baggianate. Il teorema non sta in piedi perché la spesa pubblica italiana, in periferia quanto al centro, è prevalentemente assorbita non dagli investimenti (strade, scuole, ospedali…), che si vedono, ma dai costi correnti (stipendi, pensioni, sanità…) che si vedono assai meno. E comunque nessuno ha mai potuto dimostrare con i fatti la veridicità di quell’assunto per la semplice ragione che nemmeno nei paesi di antica tradizione federale – come ad esempio Germania o Stati Uniti – è mai stata il federalismo l’arma vincente contro l’evasione. E allora? Allora il rischio che l’evasione diffusa e capillare del sistema Italia affondi le sue radici nella “cultura materiale” del paese e nella strutturale inefficienza dell’amministrazione dello Stato è un rischio assai concreto.

La soluzione di questo problema potrebbe arrivare soltanto dopo la soluzione di tutti gli altri, che lo determinano. Dovrebbe esserci un’amministrazione fiscale efficiente e limpida, che non c’è; dovrebbe esserci una Guardia di finanza determinata e incisiva, e non lo è; dovrebbe esserci una rete di enti locali ben strutturati nel monitorare il territorio e “tracciare” consumi e investimenti privati, ma non c’è. Insomma, dovrebbero esserci molte, troppe premesse che mancano. E che comunque, se finalmente si ponessero, dovrebbero fare i conti con una scarsa sensibilità civile verso il dovere fiscale. Forse il dovere meno sentito di tutti, meno dei limiti di velocità, meno dei divieti di balneazione. Retaggio di secoli di dominazione, indubbiamente, allorquando la tassa non era il convinto contributo individuale al bene comune, ma l’obolo estorto da un padrone oppressore. Ma quei secoli sono passati e per troppi italiani, a quasi un secolo e mezzo dall’unità d’Italia, le tasse sono rimaste “quella roba lì”, un’imposizione, una rapina.

Non resta che l’etica individuale, quella dell’evangelico “date a Cesare”. Che rinvigorirebbe, però, se almeno prendesse a funzionare – severamente ma equamente – il sistema sanzionatorio: se evadi e lo accerto, ti punisco esemplarmente. Perché per ora neanche questo è vero. E quasi sempre, scoperta l’evasione, comminata l’ammenda, scatta il condono, la trattativa, il ricorso o la mediazione. E chi più ha evaso, troppo spesso, meno paga.