La caduta del muro di Berlino e la fine ignominiosa del comunismo reale hanno avuto un effetto paradossale, che Papa Wojtyla previde per tempo e contro il quale mise, invano, il mondo in guardia: che cioè la scoperta degli errori e degli orrori del comunismo finissero col coprire il capitalismo di una specie di salvacondotto etico, come se le colpe e i difetti fossero stati fino a quel momento tutti e soltanto dall’altra parte del muro.
Non era così, anzi.; e semmai la scomparsa del “nemico marxista” ha soltanto eliminato i freni inibitori, le prudenze e i controlli che, prima, le autorità occidentali riverberavano sul loro sistema finanziario perché il rischio di un suo indebolimento era troppo grave. Questa politica di “laissez faire” ha posto le premesse per la devastante crisi finanziaria del 2008. E ancora nuoce.
Figlia legittima di quell’epopea del capitalismo senza freni, autoregolamentato (e quindi non regolamentato!) e riserva di caccia per le scorrerie degli yuppie di mezzo mondo sono in Italia due vicende: Parmalat e Telecom Italia. Nel primo caso, in mano alla magistratura, risparmiatori di mezzo mondo sono stati spennati per l’avidità e l’incuria di un ristrettissimo gruppo di persone. Nel secondo caso, a essere spennata è stata una grandissima azienda, un tempo tra le più forti del mondo nel suo settore, appunto Telecom.
Su quest’azienda, privatizzata nel ’97 dal governo Prodi (ministro del Tesoro Ciampi) per un controvalore di appena 27 mila miliardi di lire, appena due anni dopo fu lanciata un’Opa (offerta pubblica d’acquisto) del valore di ben 100 mila miliardi, da un gruppo di investitori guidati da Roberto Colaninno ed Emilio Gnutti. Solo che quest’Opa era destinata a essere finanziata attingendo all’allora ricchissimo patrimonio della società-bersaglio, la stessa Telecom.
Quel che è accaduto è presto detto: l’Opa è riuscita, decine di migliaia di azionisti, grandi e piccoli, si sono ben rimpinguati incassando lecitamente il controvalore dei titoli che vendevano agli scalatori, ma questi ultimi hanno scaricato sulla società scalata il peso dei debiti contratti per scalarla. In questo modo, la capacità d’investimento che Telecom Italia aveva prima della scalata è stata praticamente bruciata. Oggi l’azienda, per quanto ben gestita da Franco Bernabè, guadagna ma non abbastanza da riuscire sia a rimborsare i debiti che a finanziare gli investimenti e pagare i dividendi.
L’attuale azionariato di Telecom, costituitosi due anni fa dopo l’uscita di scena del gruppo Pirelli che aveva rilevato il controllo da Colaninno, ha coinvolto nell’assetto proprietario il colosso spagnolo Telefonica. E da un annetto si sussurra che gli spagnoli, avendo sborsato circa 3 miliardi di euro per acquisire questo 40% di capitale nella holding Telco, che controlla a sua volta il 22% di Telecom, vorrebbero fare ora il secondo e decisivo passo comprandosi tutto il gruppo italiano.
Ma la cosa, pur materia di continui studi di fattibilità finanziaria e costanti gossip di mercato e mediatici, non si farà mai. E per tre ragioni.
1) Innanzitutto perché nessun governo oserebbe autorizzare la vendita di Telecom senza, prima, aver messo in salvo in mani diverse ma italiane la rete di telecomunicazioni che l’ex monopolista controlla e che – nell’epoca di internet – rappresenta un’infrastruttura preziosa quanto e più delle autostrade normali. Ma non s’è ancora trovato alcun soggetto italiano, né pubblico, né privato né misto, disposto a sobbarcarsi l’acquisizione della rete medesima.
2) Poi perché Telecom Italia, come tutti gli ex monopolisti telefonici del mondo, è lo strumento essenziale di cui si servono magistratura e servizi segreti, civile e militare, per le loro indagini. Affidare a mani stranieri la gestione di un’azienda che svolge, tra l’altro, un compito così delicato è impensabile. Tanto che perfino all’estero, dove pure le compravendite di aziende telefoniche sono state all’ordine del giorno per un decennio, nessun ex monopolista pubblico privatizzato è passato in mani straniere.
3) Infine, perché nessuno dei soci italiani della Telco (Mediobanca, Generali, Intesa Sanpaolo) ha interesse a vendere a Telefonica a questi prezzi: ci rimetterebbe un sacco di soldi rispetto al valore di carico.
Quindi, la telenovela di Telecom andrà avanti così, campicchiando un po’ di stenti, tra mille voci infondate e tanti piani industriali intessuti di buona volontà e senza i soldi che sarebbero necessari per farli volare, soldi drenati da mani rapaci, pur se rispettose delle leggi (sbagliate) del mercato. Un vero e proprio “delitto del capitalismo”.