La mediaticità delle istruttorie giudiziarie italiane si sta sempre più affermando come un fenomeno inversamente proporzionale alla loro qualità giuridica. Ovvero: più si fa chiasso su un’istruttoria, meno effettive e provabili sono le responsabilità, i reati, che quell’istruttoria prometteva di aver scoperto. Il caso Fastweb-Telecom sembra confermare un’ennesima volta la regola, già clamorosamente sancita – negli ultimissimi tempi – dal caso Why Not, su cui un governo è caduto e un Pm è diventato europarlamentare, e da altre incredibili vicende come quella che vide al centro, nel 2006, le intercettazioni illegali fatte dalla Telecom che faceva allora capo a Marco Tronchetti Provera.

Il timor panico che il potere individuale dei pubblici ministeri suscita nella mente dei politici e, in generale, di tutti gli esponenti della classe dirigente è tale che nessuno osa eccepire nulla su questa clamorosa inefficienza della macchina inquirente, tanto più grave se confrontata appunto con l’enorme risalto mediatico delle iniziative che le Procure prendono e poi sono costrette a lasciar decomporre per mancanza di prove. Tolta la stretta cerchia dei berlusconiani “doc”, nessun politico in Italia critica la magistratura, neanche a destra: basti pensare allo sfoggio di legittimismo istituzionale “pro toghe” che fanno da sempre molti leader dell’ex-An, quasi a sottolineare che “loro non hanno nulla da temere”.

In realtà l’“ultracasta” dei magistrati, come la definisce con crudele veridicità il titolo del recente saggio di Stefano Livadiotti che ne spiattella impudicamente tutte le aberrazioni, non è composta né di incompetenti né di incapaci, ma di categorie professionali e umane che ricorrono in tutti gli ambienti: gli opportunisti, gli zelanti, i posapiano, i furbi, i travet, i politicanti… Il dramma è che la magistratura mediaticamente sensibile, che è poi quella inquirente, ha capito da tempo che fare notizia con inchieste-scandalo è una strategia che apre la strada alla politica o quantomeno alla celebrità, con quel di vantaggioso che ne può conseguire.

Tutto ciò ha indotto molti, troppi magistrati a calcare la mano sul “sensazionalismo”, consapevoli che lo “sboom” delle loro fughe in avanti inquisitorie non verrà mai sanzionato dai media, troppo attenti come sono a dare le notizie negative e mai quelle positive (i proscioglimenti, le archiviazioni, le assoluzioni, ecc.). Senza rendersi conto – i media – che queste “notizie positive” andrebbero date con la massima enfasi perché rappresentano “notizie negative” a carico dei magistrati sbugiardati. Ma succede sempre così: si diede molto più risalto alla notizia del primo trapianto cardiaco riuscito che non a quelle dei tanti tentativi precedenti andati tragicamente a vuoto e risoltisi con la morte dei pazienti.

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Il caso Fastweb-Telecom è pieno di anomalie che le cronache non spiegano. 1) Se evasione fiscale c’è stata, chi l’ha commessa oltre alle società terminali del “carosello” di fatture, quelle panamensi, che hanno evaso l’Iva come fanno spessissimo le società off-shore? 2) E se hanno evaso soltanto loro, Fastweb e Telecom che c’entrano? 3) Perché ci sia stato riciclaggio, non è più logico pensare che il traffico telefonico sia stato effettivamente comprato e venduto, anziché semplicemente intermediato? 4) Che ci restano a fare in carcere Scaglia e con lui alcuni altri top-manager arrestati, visto che erano stati interrogati tre anni fa e avrebbero potuto tranquillamente già inquinare le prove, visto che non possono reiterare il reato e visto che a fuggire, pur con tutti i soldi che hanno, chiaramente non c’hanno pensato per niente?

 

Si ripensi un attimo a com’è finita, provvisoriamente, la vicenda Why-Not: tutti i politici-chiave dell’inchiesta, che condusse alle dimissioni dell’allora ministro Clemente Mastella e quindi del governo Prodi, sono stati assolti e l’imputato chiave, Antonio Saladino – per chi lo conosce bene sicuramente del tutto estraneo agli addebiti contestatigli – è stato sì, condannato, ma solo per il reato di abuso d’ufficio (che in Appello verrà duramente contestato dalla sua difesa), mentre è stato prosciolto dagli altri reati che gli venivano addebitati: associazione per delinquere, truffa, frode nelle pubbliche forniture. Come dire che anche per lui il soufflé si è sgonfiato.

 

Ma quel che è peggio è che questa montagna di errori fatta dagli inquirenti arreca danni gravi o gravissimi ai sospettati ma nessun danno a chi sbaglia a perseguirli: né danni economici, perché nonostante il referendum che lo introdusse, il concetto di “responsabilità civile” del giudice non è mai diventato norma di legge; né danni professionali, perché purtroppo nelle carriere dei magistrati non funziona alcun meccanismo “bonus-malus”, per il quale chi sbaglia paga restando fermo al palo.

 

Insomma, non se ne esce senza una riforma radicale e la separazione delle carriere che confini i magistrati inquirenti nel ruolo che compete loro, quello di “controparte” della difesa, senza alcun rango ideologico migliore o affine a quello del collegio giudicante. Ma sarebbe più che ingenuo credere che in questo quadro politico Governo e Parlamento possano produrre nulla di buono, in merito.