L’Unione petrolifera ha fatto la faccia feroce nientemeno che contro il Corriere della Sera minacciando fuoco e fiamme in risposta a una recente inchiesta con la quale il quotidiano tuttora più prestigioso d’Italia ribadiva – certo: con incisiva chiarezza e lucidità – un concetto però dato per scontato, da sempre, dalla maggioranza degli italiani. Che cioè le compagnie petrolifere lucrino non poco durante le periodiche oscillazioni del prezzo del greggio “alla fonte”.

Come? Semplice: retrocedendo immediatamente i rincari ai consumatori finali, aumentando cioè il prezzo delle benzine; e invece non retrocedendo con altrettanta velocità gli sgravi del prezzi alla fonte, in modo da lucrare per un bel periodo di tempo su queste “due velocità” di commercializzazione…

Che questo sia quanto accade regolarmente da decenni è il percepito corrente di tutti gli automobilisti. I petrolieri si sono rizelati e hanno minacciato fuoco e fiamme, replicando con il loro argomento di sempre: “Quando il prezzo del greggio inizia a salire noi dobbiamo aumentare gli stoccaggi (alias: comprarne di più) perché così preveniamo il rischio di subire tutti i rincari futuri; ma in questo modo quando poi l’andamento ascensionale dei prezzi cessa o addirittura s’inverte, ci ritroviamo con le cisterne piene di petrolio pagato a caro prezzo, che a caro prezzo dobbiamo esitare”.

È una spiegazione logica ma lacunosa. Perché soltanto loro sanno quanto petrolio hanno stoccato e a che prezzo; e solo loro sanno quando hanno esaurito la vendita delle scorte rincarate e quando possono tornare a vendere ai prezzi ribassati giustificati dal calo della materia prima. E siccome queste scelte sono gestite a livello globale da quel cartello istituzionalizzato che è l’Opec, in rapporti strutturali con le poche compagnie governative estrattive, nessun consumatore è in grado di esercitare alcun controllo metodico su queste dinamiche. E tutti subiscono – subiamo – le decisioni unilaterali dei petrolieri.

La domanda diventa a questo punto: come uscirne? Ma la risposta non è e non può essere, realisticamente, “tattica”: non può insomma prospettare soluzioni di breve termine. La soluzione seria e prospettica sarà, al contrario, il portato di quella lenta ma inesorabile rivoluzione geopolitica delle fonti d’approvvigionamento energetico delle potenze industriali del mondo che, con la recentissima decisione degli Stati Uniti di dare il via a un nuovo megaprogramma nucleare, ridurrà gli spazi commerciali del petrolio entro ambiti più piccoli, meno determinanti e oltretutto più coerenti con il lento e inesorabile esaurimento delle scorte note.

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In altre parole, i petrolieri, fin quando terranno dalla parte del manico il coltello dell’energia mondiale, faranno il bello e il cattivo tempo, con il signor Rossi che deve fare il pieno della sua utilitaria così come con gli Stati. Quando invece il ritorno del nucleare, la crescita delle energie rinnovabili e, chissà, l’avvento dell’idrogeno toglierà loro il sostanziale monopolio energetico che ancora detengono, pagheranno tutto insieme il conto della loro attuale e storica arroganza: perché, e non deve sorprendere, non ci sono grandi petrolieri tra i gruppi più forti nello sviluppo del nucleare. Ma questo momento è ancora lontano. Forse non lo vivremo noi, ma certamente lo vivranno i nostri figli.