“Mai fidarsi di Mediobanca: adesso l’hanno capito anche gli spagnoli”. È la sintesi beffarda che un ex manager del gruppo Montedison, di quelli che vissero la telecronaca diretta della più colossale spoliazione per vie legali di una proprietà privata mai attuata in questo Paese, trae della vicenda di Telefonica e Telecom Italia all’indomani dell’ultima intervista rilasciata da Cesar Alierta, capo del gruppo spagnolo, a Il Sole 24 Ore, e del declassamento del debito Telecom a “junk” da parte di S&P’s. In quell’intervista Alierta, arrampicandosi sugli specchi peggio dell’Uomo Ragno, dichiara che non ha alcuna intenzione di salire oltre il 15% del capitale Telecom “in trasparenza”, cioè attraverso il controllo di Telco, che pure ha appena “prenotato” sottoscrivendo una “call-options” con i soci italiani della cassaforte (si fa per dire) che racchiude il 22,6% del colosso telefonico: Mediobanca appunto, che ha guidato le negoziazioni per tutti, e poi Generali e Intesa Sanpaolo. Insomma, in Telco si fermerà al 49%.
Come mai? Semplice: perché Alierta, che non ha l’anello al naso, ha capito che il rischio di dover poi fare l’Opa sul 100% di Telecom è diventato concreto. Il Pd è risoluto ad abbassare la soglia dal 30% al 15%, appunto, e non c’è più in Parlamento la lobby massonico-repubblicana capace di spegnere l’incendio. Una volta la Mediobanca di Cuccia, volendo, muoveva i partiti e dialogava alla pari col governo, ma oggi? Una volta i disegni erano fatti al tecnigrafo, non sbavavano di un millimetro, e come nelle partite a scacchi c’era qualcuno che prevedeva le mosse dell’avversario fino a 50 gradi successivi. Ma oggi non è più così.
Però questo in fondo per Alierta non è un problema. Per una volta non mentendo – mentre invece si mente sempre nel mondo degli affari – il manager spagnolo ha ribadito la sua intenzione di favorire lo sviluppo di Telecom sul mercato domestico (lodevole specificazione: almeno non pretende di far credere che lo voglia sostenere anche all’estero!). Alierta in realtà si trova nell’invidiabile posizione di poter appunto inibire l’espansione di Telecom fuori Italia.
Innanzitutto in Sudamerica, dove non a caso il gruppo guidato da Marco Patuano ha appena venduto Telecom Argentina. E poi anche in Brasile, dove Tim Brasil è bloccata. O nel resto d’Europa, dove Telecom Italia potrebbe crescere e non lo fa. Certo non può crescere in Italia, salvo investire molti più soldi di quanto programmato per creare quella famosa rete di nuova generazione che non c’è, ma che costa molto più di quanto poi i ritorni in termini di business possano remunerare sul breve periodo. E comunque questi soldi non ne ha, col debito ridotto a “junk” non glieli presta più nessuno e l’indispensabile aumento di capitale proposto dall’ex presidente Bernabè prima di andarsene Telefonica non lo farà mai fare.
Insomma, i soci italiani di Telco, in maldestra fuga da un investimento fatto alla cieca quando ancora vigevano gli equivoci intenti di “intervento di sistema”, cercano di vendere senza riuscirci; gli spagnoli fingono di comprare, paghi in realtà di mantenere Telecom incastrata nell’inedia a bassissimo prezzo. In questo quadro desolante il governo dorme, mentre essendo Telecom – non dimentichiamocelo – una concessionaria pubblica, avrebbe una serie di vincoli precisi verso lo Stato il quale, se solo volesse attivare le sue leve di influenza, potrebbe condizionarne le strategie. Invece, macché: nemmeno sul promesso scorporo della rete Telecom ha preso impegni, stracciando anzi quelli voluti dal precedente presidente di Telecom.
Pensare che questo quadro ingessato cambi per la volontà “di base” della politica è ingenuo: Letta & C. hanno ben altro cui pensare e poi ci capiscono relativamente. È più facile scommettere sul blitz di qualche big player internazionale come At&t o Vodafone, pieni di soldi e pronti a rilevare quando saranno ridotti ancora peggio i cocci di Telecom. E di tutto questo si sa a chi dire grazie.