Non facciamo ingannare, è un’illusione ottica: se stanno meditando di fare un passo indietro dimettendosi dal vertice di Telecom Italia, i consiglieri designati dai soci italiani della Telco (la holding che controlla il 22,6% del capitale del gruppo ed è a sua volta controllata da Telefonica per il 46%, da Generali per il 30% e da Intesa e Mediobanca per l’11% ciascuna) non è per amore di una governance più democratica ma per prudenza. La situazione del gruppo, sotto il profilo societario, è infatti sempre più ingarbugliata. E comincia a presentare profili di rischio, anche giudiziario.
Quando un uomo prudente e misurato nell’esprimersi come il presidente della Consob Giuseppe Vegas dice che l’intervento della sua Autorithy ha fatto “scoperchiare un pentolone”, è legittimo sentire puzza di carte bollate. Su almeno due temi: la vendita di Telecom Argentina senza gara; e il collocamento del prestito obbligazionario convertibile in una notte, in mani – guarda caso – prevalentemente amiche di Telefonica e senza che l’antagonista degli spagnoli, cioè il socio Marco Fossati, sia stato avvisato e messo in condizioni di sottoscrivere la sua quota (così, almeno, lamenta lui).
Ma cosa c’è dietro e cosa potrebbe succedere la settimana prossima a Telecom? Per capirlo facciamo un passo indietro. Dopo un anno e mezzo di trattative infruttuose dapprima con la Cassa depositi e prestiti per cedere la rete fissa e poi con i cinesi di Hutchison Wampoa per fondersi con 3 Italia e trovare appunto nel colosso di Hong Kong il nuovo azionista di riferimento, Telecom Italia si è ritrovata a settembre senza strategie e senza punti di riferimento. L’ex presidente Franco Bernabè allora ha cercato di smuovere le acque proponendo un aumento di capitale, ma è stato messo in minoranza e indotto alle dimissioni dagli altri soci tra i quali Telefonica, colosso spagnolo dei telefoni.
Di lì a poco la stessa Telefonica da una parte e Generali, Mediobanca e Intesa dall’altra hanno annunciato di aver raggiunto un accordo per la vendita graduale (in due anni) delle azioni detenute dai soci italiani di Telco (e quindi del controllo sul 22,6% di Telecom) al socio spagnolo, per appena 750 milioni di euro, un piatto di lenticchie che però permette ai tre gruppi tricolori di non accusare ulteriori minusvalenze su quella partecipazione (acquistata a 2,2 euro e oggi valorizzata in Borsa 0,6!).
Contro l’avvento di Telefonica nel ruolo di socio-guida di Telecom si sono però subito stagliati due problemi, uno “regolatorio” e l’altro societario, seguiti da una serie di “focolai” di tipo giudiziario. Quello regolatorio è presto detto: Telefonica controlla in Brasile una compagnia telefonica mobile, Vivo, e quindi per motivi antitrust non può diventare controllante unica del gruppo che controlla il principale con corrente di Vivo, cioè Tim Brasil, che è anche per Telecom oggi l’attività più profittevole. Chiara l’intenzione degli spagnoli: vendere Tim Brasil, portare soldi dentro le casse di Telecom per ridurne i debiti sotto l’attuale montagna di 28 miliardi e fregarsene che in questo modo l’azienda italiana perde una sua roccaforte internazionale. E, detto fatto, l’Antitrust brasiliano ha intimato a Telefonica o di vendere Vivo o di vendere Tim Brasil…
L’ostacolo di natura societaria è costituito dal fatto che la “scalata” di Telefonica mette fuori gioco Marco Fossati, ex padrone del gruppo Star e oggi azionista di Telecom col 5,5%, che sperava di rientrare invece nel giro del controllo del gruppo. Fossati, già arrabbiato per essere stato escluso dalle trattative tra Telefonica e i soci italiani di Telco, s’è ulteriormente infuriato quando Teleco, subito dopo la firma dell’accordo spagnolo, ha ceduto senza gara Telecom Argentina; e ha deciso di passare al contrattacco quando in una notte la stessa Telecom ha collocato 1,2 miliardi di euro in obbligazioni convertibili che – dice lui – nessuno gli ha offerto e che sarebbero tutte o quasi finite in mani amiche a Telefonica.
Su entrambi gli episodi la Consob ha chiesto chiarimenti e su entrambi gli episodi, a conferma che c’era stato qualcosa di perlomeno affrettato nelle procedure, Telecom ha ritenuto di celebrare un secondo consiglio d’amministrazione a ratifica e precisazione di quanto deliberato nel primo! Nell’insieme, due brutte figure – se non altro.
Cosa può succedere, dunque, all’assemblea del 20? Che Telco, forte del suo 22,6% bocci senza difficoltà la mozione di Fossati e confermi in carica l’attuale cda. O che invece Fossati, col suo 5,5%, sia riuscito a raccogliere il consenso di investitori istituzionali (fondi esteri soprattutto) in numero sufficiente ad approvare la sua mozione e quindi far decadere e sostituire l’attuale consiglio.
A poco meno di una settimana dall’assemblea, i giochi sono aperti, ed è arrivata l’indiscrezione che i soci italiani di Telco potrebbero accogliere le richieste di Fossati e del mercato, fare un passo indietro in cda e rendere così possibile la nomina di un gruppo di indipendenti che garantisca una gestione neutrale nei confronti di tutti i soci.
Per precisare la propria strategia, Telco ha deciso di convocare un cda per il 19 dicembre. Tecnicamente, la materia su cui deliberare è molto complessa. Telco potrà decidere di preparare un elenco di cinque nomi da sottoporre al voto assembleare, utili a integrare il consiglio nel caso in cui la platea dei soci decidesse di dire sì alla revoca del board. O potrebbe, appunto, annunciare la revoca dei suoi attuali delegati e proporne “motu proprio” l’avvicendamento con uomini nuovi e indipendenti: sarebbe un bel gesto, gradito probabilmente ai singoli consiglieri che sicuramente non amano l’idea di restare invischiati in un simile, sospetto ginepraio di conflitti.
Al momento, in vista dell’assemblea, sono state depositate soltanto due liste di candidati, quella firmata Assogestioni e composta di sette candidati, e quella di matrice Telco, di tre nomi, per integrare le ultime uscite. Complessivamente, dunque, se il consiglio dovesse saltare, quello nuovo sarebbe formato da 10 membri. Peccato però che l’attuale board sia composto di 15 consiglieri. All’appello, dunque, ne mancherebbero cinque. E così Telco si prepara a individuare quei cinque candidati in più che potrebbero rivelarsi indispensabili per costituire il nuovo cda. Altrettanto starà facendo la Findim di Marco Fossati nel caso in cui scoprisse in assemblea di essere parte di una nuova maggioranza…
Un’ultima annotazione: a prescindere dall’esito di questo scontro societario e delle sue quasi certe evoluzioni conflittuali, probabilmente anche giudiziarie, per gli analisti è pacifico che l’attuale strategia di Telecom non riesca a condurla alla stabilità finanziaria e al recupero della necessaria, maggiore redditività. E se Telecom resterà nell’attuale stallo, pian piano, fatalmente, deperirà fino al declino. Chiunque dica il contrario formula un augurio, più che una previsione, dicono gli analisti finanziari. Per ripartire servono soldi, e finora nessuno li ha voluti investire.