Per capire di quanta ipocrisia sia intrisa la posizione di Telecom Italia sulla rete telefonica di nuova generazione basta viaggiare in auto da Venezia a Milano. Poco prima di Brescia, nei cartelloni verdi delle indicazioni stradali, campeggia curiosamente l’indicazione di una possibilità che quasi nessuno coglie, quella cioè di raggiungere Milano scendendo fino a Piacenza tramite l’A21 e poi da Piacenza risalendo fino al capoluogo lombardo lungo la A1, l’Autostrada del Sole. Si allunga di 67 chilometri, ha senso solo se si è certi che la Brescia-Milano sia bloccata da cantieri o incidenti. Nessuna traccia, invece, delle frecce che potrebbero indicare il raccordo verso la A35, la nuova autostrada Brebemi, che allungando di soli 10 chilometri collega Brescia con Milano in una modalità davvero alternativa e spesso conveniente per ragioni di traffico. Che senso ha dare l’indicazione di una strada alternativa poco pratica, e non darla per l’alternativa vantaggiosa?

Il senso è palese: la A4, come la A21, appartengono ad Autostrade per l’Italia, la Brebemi no. Ovvio che Autostrade per l’Italia promuova i propri interessi, e non quelli della concorrenza. Meno ovvio se si pensa che tanto Autostrade per l’Italia quanto la Brebemi sono aziende concessionarie pubbliche e che la missione loro affidata dallo Stato è quella di gestire un servizio di rilevantissimo interesse collettivo che andrebbe organizzato in modo da massimizzare le comodità e i vantaggi del pubblico prima degli utili dei concessionari.

Cosa c’entra tutto questo con la rete telefonica di nuova generazione in fibra ottica che scarseggia in Italia e con Telecom che insiste a voler realizzare da sola, e non in collaborazione più o meno forzata con gli altri operatori come Metroweb, Vodafone, ecc.? C’entra in pieno. Perché i bit, proprio come le auto, quando corrono velocissimi per la rete, possono essere incanalati in varie direzioni diverse per poi arrivare alla stessa destinazione e “smistare” questi pacchetti di bit è, appunto, un modo per favorire l’utilizzo di questa o quella rete da parte dei clienti. Se e finché sarà un solo operatore, dominante, a poter influenzare le scelte dei clienti e indirizzarne il traffico, le reti minori, per collegate che siano, non avranno mai le stesse opportunità di traffico e non potranno mai remunerarsi allo stesso modo gli investimenti necessari per potenziarsi. L’ipocrisia di Telecom sta semplicemente nel non dire francamente che non vuole collaborare con i concorrenti per tenersi i clienti. È talmente chiaro, e in fondo lecito, che tanto varrebbe dirlo…

E non basta. Telecom sta lavorando assai meglio di sei mesi fa, ma è ancora nei guai. Per quanto il piglio decisionista e le relazioni internazionali del nuovo presidente del gruppo Giuseppe Recchi abbiano impresso una svolta all’attività aziendale, estraendola dall’angolo in cui l’aveva confinata l’influenza paralizzante di Telco e dei suoi soci dominanti (i concorrenti spagnoli di Telefonica e i vigilanti di Mediobanca), i parametri finanziari sono ancora tali da imporre molta prudenza negli investimenti, tenuto conto della necessità di rimborsare i debiti pagandone intanto i salati interessi e remunerare un poco gli azionisti. 

Poi, certo, si può vendere qualche gioiello della corona e fare cassa, ma se con questa cassa si fanno investimenti non la si usa per rimborsare i debiti e intanto si è rinunciato ai flussi di rendimento degli asset venduti, complicandosi la futura gestione; se invece la si usa per rimborsare i debiti non la si può indirizzare ai promessi investimenti. Riuscire davvero ad autofinanziare entrambe le cose – investimenti e riduzione del debito – è un’encomiabile impegno ma di difficilissima realizzazione.

Esistono soluzioni? Certo che sì. Sarebbe indispensabile che la nuova rete venisse sviluppata pro-quota dagli operatori nazionali, Telecom compresa, e pro-quota generasse utili per tutti loro, ma sotto il controllo severissimo dell’Autorità garante per le comunicazioni. Si può fare? Altro che: basta volerlo e normarlo. Già oggi l’Agcom è, di fatto, la “padrona” del conto economico degli operatori telefonici perché transita per le sue stanze ogni decisioni su tariffe e rimborsi. Basta aggiungere una stanza e il gioco è fatto. Ma ci vuole volontà politica. E Renzi, l’unico che decide, finora ha avuto altro a cui pensare.