Ha detto bene Sergio Marchionne e gliene va dato atto: il piano industriale congiunto Fiat-Chrysler, il primo della storia, non rappresenta un “nuovo capitolo” di un libro, ma è in assoluto un libro nuovo. Dopo aver, nei suoi dieci anni alla Fiat, mantenuto tutte le promesse fatte in materia finanziaria e societaria e smentito tutte quelle in materia industriale, ieri Marchionne, parlando nel colossale palazzone di Auburn Hills – quartier generale Chrysler – ha cambiato gioco. E ci ha messo la faccia. Segniamoci tutte le cose che ha detto: per verificare se le farà, ma anche perché sono molto serie, o almeno lo sembrano, e per la prima volta seriamente promettenti anche per l’Italia.



Dopo il ritiro di “Fabbrica Italia”, Marchionne non aveva mai più parlato così tanto di industria. E dopo due mesi che perfino nel nostro infiacchito mercato interno è tornato il segno più davanti alle vendite di auto nuove ed è addirittura solido quel +5,2% sulle vendite delle usate, ci si può forse concedere un grammo di ottimismo. La novità di ieri è il tono e la chiarezza con cui si è sbilanciato negli impegni. “In Italia nessuno a casa”, non l’aveva mai detto. “Siamo impegnati a non mandare nessuna a casa”, ha invece testualmente scandito, “a non licenziare”, ha ribadito, e poi ha aggiunto: “Quando arriverà l’industrializzazione dei prodotti rientreranno tutti quanti”.



Difficile scantonare da una presa di posizione così chiara e netta. Difficile anche negargli il riconoscimento di aver avuto il coraggio e la durezza necessari per non fare più promesse de genere dopo l’infortunio di Fabbrica Italia. E c’è di più, c’è un buon segno. Può sembrare paradossale, ma il “buon segno” risiede in quel -7,8% che sta segnando la quotazione del titolo Fiat oggi in Borsa. Che gli analisti finanziari non apprezzino il piano, che rimarchino come i risultati del trimestre siano inferiori alle loro attese è solo il segno che finalmente Fiat, con Chrysler, si rimette a fare industria e supera la concentrazione morbosa che aveva voluto (e forse dovuto) mantenere sugli aspetti finanziari della propria gestione. Di solito, almeno nel settore dell’industria manifatturiera, quando la Borsa punisce un titolo, c’è futuro; quando lo premia c’è rapina.



A Marchionne finora non è certo mancata la fortuna, oltre all’audacia. Che oggi il suo attendismo, nel ritardare il lancio dei nuovi modelli in attesa della ripresa, non possa essere premiato dai fatti? Su un punto dovrà però giocarsela con se stesso: sulla disponibilità a far lavorare in autonomia i suoi. Marchionne non è un uomo di prodotto e adesso la partita si gioca tutta suoi prodotti. Sul farli bene. Per esempio, le nuove Alfa: 5 miliardi, per rilanciarle nel mondo, sono finalmente un impegno serio. Ma lui lasci fare a chi sa non faccia più andar via i talenti. Sarà il suo secondo più grande merito: dopo aver salvato la Fiat con la finanza, costruirle un futuro solido con i prodotti.