Perché le voci, peraltro non confermate, di una possibile integrazione tra 3 Italia e Wind si sono riflesse positivamente in Borsa sull’andamento del titolo di Telecom Italia? Che “c’azzecca”?, si chiederebbe Di Pietro. C’azzecca, purtroppo. E proviamo a spiegare perché. In due parole, la possibile fusione tra il terzo e il quarto operatore telefonico mobile italiano comporterebbe inevitabilmente – e a causa della ferma determinazione dei soci delle due imprese che dovessero fondersi – un rialzo delle tariffe minime praticate ai clienti.
Il ”senso” dell’operazione è proprio questo: se da un mercato che per sua natura è oligopolistico si eliminano i concorrenti più agguerriti e competitivi, anche gli operatori dominanti se ne giovano perché vedono ridursi la pressione concorrenziale dei prezzi bassi praticati dai piccoli. Ecco perché Telecom si gioverebbe dell’eventuale operazione. Ma è evidente la conseguenza di tutto ciò: la fusione comporterebbe un costo per il mercato, ovvero – e appunto – il rialzo delle tariffe minime.
Ancora una volta, dunque, del migliore benessere di Telecom, Vodafone e dell’eventuale società unica 3 Italia-Wind, pagherebbero il conto i consumatori. Un assurdo? Assolutamente sì. Ma reso scientemente possibile dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che ha ritenuto di non dover incrudelire i suoi strali contro gli operatori forti, nell’equivoco che con ciò essi avrebbero investito di più o avrebbero meglio sostenuto il peso del debito.
Risultato: hanno investito poco (ragion per cui in Italia la banda larga è largamente inferiore rispetto a quella dei paesi concorrenti) e Telecom è schiacciata dal debito in misura ancora mal tollerabile.
Se l’Autorità avesse reso più pesanti tutte le misure – sono proprio tante, a volerle usare – che negli anni avrebbero potuto essere usate per costringere Telecom e Vodafone, in sostanza, a “guadagnare di meno”, le società avrebbero potuto a loro volta abbassare le tariffe, per rispondere correttamente alla pressione dei competitor, e ciò avrebbe comportato per i consumatori il beneficio che teoricamente deriva dalla concorrenza: prezzi più bassi.
Invece, l’Autorità ha tollerato che la redditività industriale dei due big rimanesse – ancora nel 2013 – allo stratosferico livello del 40% (si pensi che in settori strategici come l’auto quando un gruppo realizza il 15% di ebitda fa i salti di gioia – e sì che l’auto occupa molta gente e quindi ha un gran peso sociale) e ciò ha dato loro risorse promozionali tali da rendere sempre più ardua la vita ai due più piccoli, che infatti hanno sempre guadagnato poco o niente.
Se adesso, se per estrema contromossa, essi pensassero di fondersi, farebbero una cosa del tutto lecita. Che andrebbe però a spese nostre. E a vantaggio di Telecom e Vodafone (oltre che dei soci di Wind e 3 Italia).