Problema: dica il candidato com’è possibile che negli ultimi dieci anni lo Stato abbia pagato la connettività internet per i suoi uffici a un prezzo di nove volte superiore a quello che oggi, in una gara europea, viene offerto dal venditore per i prossimi sette anni eppure i media, apprendendo di questo straordinario risparmio resosi possibile grazie a una gara fatta come Dio comanda, si interroghino sulla stranezza dell’offerta vincitrice anziché sulla scandalosità del prezzo pagato dallo Stato per gli stessi servizi negli anni passati.
Svolgimento: siamo in Italia.
Stiamo parlando della gara per la connettività – la “Spc”, come si chiamano in sigla i “Servizi di pubblica connettività”, cioè la banda internet che lo Stato acquista per i suoi centomila uffici in tutta Italia. Per la prima volta dal 2004 questi servizi sono stati messi a gara, ovviamente telematica, dalla Consip – la società del Ministero dell’Economia che sta appunto cercando di ricondurre a razionalità gli sperperi degli acquisti scriteriati che lo Stato e gli enti locali allegramente hanno fatto da sempre e spesso continuano a fare, alla faccia della spending review. Ebbene, su una base d’asta di 2,3 miliardi per sette anni di forniture, l’offerta più bassa è stata avanzata da Tiscali, che ha chiesto (si dice: offerto) 265 milioni. Il secondo classificato, la British Telecom (una multinazionale tecnologicamente avanzatissima) ha offerto 423 milioni; al terzo posto si è classificata Fastweb con 715 milioni.
Di fronte a ribassi così eclatanti, la Consip ha incaricato una commissione di esperti di verificare se per caso le prime due offerte non fossero “anomale”, cioè artificiosamente basse, avanzate per esempio allo scopo di strappare la commessa con la riserva mentale di ottenere poi dei rialzi, una volta aggiudicato l’appalto, o di risparmiare nei costi di fornitura riducendo la qualità dei servizi erogati: capita, nelle gare pubbliche, dove spesso i concorrenti non hanno la coscienza a posto. Ma stavolta pare proprio che non sia così, e la graduatoria è stata confermata. E comunque, anche se per qualsiasi imprevedibile ragione, l’appalto venisse aggiudicato a Fastweb, terza classificata, il risparmio sui vecchi prezzi sarebbe del 59%. Molto meno della metà. Questa è “la notizia”.
Ora a chiunque verrebbe in mente di capire il perché di due stranezze inquietanti: innanzitutto, com’è stato possibile che finora lo Stato abbia pagato tanto di più per quei servizi; e poi come mai l’Agid – l’Agenzia per l’Italia digitale – abbia indicato alla Consip come base d’asta (era suo compito) un prezzo così più alto delle offerte pervenute. Sempre prendendo per pietra di paragone il terzo prezzo offerto, com’è possibile che le “teste d’uovo” dell’Agenzia non abbiano saputo fare i conti in tasca ai fornitori e far partire la gara da un prezzo molto più vicino ai valori di mercato? E poi: chi ha intascato il plusvalore delle precedenti forniture e chi e perché gliel’hanno lasciato fare per anni?
Queste sono le “domandone” che la vicenda scatena. Invece, nossignore: dagli a Tiscali e al suo fondatore Renato Soru, abbastanza vicino a Renzi. Il teorema è che Tiscali sarebbe stata favorita nella gara perché Soru è protetto dal premier in contraccambio dei servigi resi al partito e all’Unità.
La tesi è abbastanza strampalata per chiunque conosca le gare Consip – che sono a tutt’oggi “a prova di bomba” – ma soprattutto per chi conosca un poco Soru e Renzi. Impossibile che siano amici. Si considerano entrambi Dio, e per giunta mentre Renzi è un piacione e vuole sedurre tutti, roba che nemmeno Berlusconi, Soru ha nei rapporti umani la piacevolezza di un porcospino e, peraltro, mollando al suo destino l’Unità, più che un servizio ha reso al premier e segretario una patata bollente.
Ma poi chi se ne importa: una gara dove lo Stato va a risparmiare l’88% di quanto pagava finora per lo stesso servizio non è un affarone per chi si aggiudica la fornitura, ma per lo Stato che la paga meno, che differenza fa se il fornitore è un amico del premier, o anche se è un marziano, o un palombaro, o un Sarchiapone, basta che risparmiamo, naturalmente a parità di servizi forniti.
Ed è qui, direbbe Totò, che dovrebbe cascare l’asino: siamo sicuri che i servizi erogati saranno corrispondenti alle esigenze degli uffici pubblici? La verifica fatta dai tecnici della Consip dice di sì, e la Consip, a oggi, merita il massimo rispetto perché è tra le pochissimo istituzioni del sistema pubblico che ha dimostrato di andare oltre le parole e saper fare i fatti. Meno tranquilli c’è da stare se queste verifiche arrivano dall’Agenzia per l’Italia digitale, che dopo aver indicato quel prezzo-base stratosferico meriterebbe di essere ribattezzata “Agenzia per l’Italia dispendiosa”.
Ma contro questo timore – che cioè Tiscali si riservi di offrire un pessimo servizio a fronte del prezzo stracciato che ha chiesto – ci soccorre anche la logica. Attualmente, come ha ben riportato Il Fatto Quotidianodi due giorni fa, il Sistema pubblico di connettività ha un listino che prevede che una linea da 10 Mb (dieci megabit) costi allo Stato 746 euro al mese, ovvero uno sproposito, se si pensa che sul mercato un po’ tutti gli operatori telefonici offrono una linea 10 mega al mese a prezzi molto più bassi: circa 30 euro. E allora, dove sta lo scandalo nell’attuale livello di prezzo proposto da Tiscali? Lo scandalo, va ribadito, stava tutto nei prezzi di prima.