Lo scopo è nobile, ed è vitale per i conti dello Stato: il collocamento in Borsa di Poste Italiane Spa deve andare bene. Non sono ammessi mezzi insuccessi. E Francesco Caio, l’amministratore delegato del gruppo che il governo Renzi ha insediato praticamente con il mandato essenziale di concretizzare la quotazione delle Poste, non sta usando i guanti gialli, in nome della “massimizzazione” degli introiti, che il Tesoro “pregusta” nella misura di 4 miliardi di euro.



L’operazione è ormai imminente: il prospetto verrà pubblicato il 14 ottobre, il collocamento avrà luogo tra il 19 e il 29 dello stesso mese. Il 3 novembre sarà verosimilmente il primo giorno di contrattazioni del titolo sul mercato.

Tutto bene, dunque? Anche no. Non sono state ancora archiviate le polemiche sui tagli alla rete degli uffici postali (chiusura di 455 sportelli su 13.200 e la riduzione degli orari di apertura in 609 uffici) e sui rincari dei servizi (l’aumento del francobollo a un euro per la posta ordinaria e a tre euro per quella prioritaria, la consegna per soli quattro giorni alla settimana) che già, negli ambienti finanziari, si stigmatizza un’altra e più tecnica questione di opportunità.



Poste Vita – la compagnia assicurativa del gruppo che ne è uno dei “pilastri” del valore complessivo – deve investire in immobili e lo farà attraverso una Sgr (Società di gestione del risparmio) che sta scegliendo con una gara: due miliardi di investimento, mica noccioline. Ebbene, Poste sta puntando su acquisizioni prevalentemente fuori Italia, nonostante il nostro mercato abbia tante buone offerte (anche demaniali!) in essere. 

E per gli acquisti, dopo una prima preselezione di candidati alla quale si sono presentati anche i “big” italiani – da Ideafimit a Prelios, da Sorgente a Fabrica – pare siano rimasti in lizza solo i concorrenti stranieri: sono stati fatti, anche dalla stampa specializzata, i nomi di Ubs Real Estate, LaSalle Investment Management, Cbre, Blackrock. Tutte firme di prima grandezza, ma insomma: soldi italiani, dei piccoli risparmiatori, dirottati a comprare mattone estero attraverso intermediari esteri. 



È il mercato, bellezza. Però le Poste si chiamano “italiane”. O no?