È il film già visto con il caso Edison: quel che non ristatalizza l’Italia viene ristatalizzato dalla Francia. È la triste, pluriannunciata pochade andata in scena all’assemblea di Telecom Italia dove, com’era ovvio, il 20,2% del capitale controllato dal colosso francese Vivendi, che corrispondeva al 35,9% del capitale rappresentato in assemblea, si è astenuto dal voto sulla conversione delle azioni di risparmio in ordinarie e quindi, in applicazione del nostro codice civile che prevede il voto favorevole dei due terzi dei soci presenti, la delibera proposta dal consiglio d’amministrazione è stata respinta. La ragione: sarebbe troppo basso il “premio” richiesto per la conversione agli azionisti di risparmio. Si può dire che Vivendi controlla Telecom? Non proprio, ma che la condizioni lo dimostrano ormai i fatti.
Surreale, in questo scontato epilogo della fase italiana del controllo di Telecom, il fatto che a libro soci sia comparsa, a dare un segnale forte “di sistema” al mercato, la Caisse des Depots et Consignations francese con una quota dello 0,79% del capitale, pari all’1,4% dell’azioni ordinarie presenti.
Chiaro, adesso? Mentre da almeno tre anni la Cassa depositi e prestiti fa melina (è costretta a farla dall’insipienza della nostra politica) sulla decisione se entrare o non entrare direttamente in Telecom, se rilevarne o meno la rete e quant’altro, i francesi – d’accordo o discordi che siano fra loro (tanto, non verranno mica a dire la verità a noi) – sono saliti al 36% del capitale, tra Vivendi, Neil e – appunto – la Caisse, cioè la Cassa depositi e prestiti dello Stato francese. E quindi comandano, o almeno interdicono.
Che c’entra la Edison? C’entra. Perché nell’ansia liberalizzatrice che ha travolto l’Italia sul fronte del mercato energetico una quindicina di anni fa, i politici di allora furono così insulsi da non evitare che il secondo produttore di energia elettrica italiano finisse in mani francesi, per lo più statali come quelle di Edf, anche allora, capaci di guadagnare l’iradiddio, tanto più perché l’elettricità ai francesi costa assai meno che a noi.
Perché in Borsa, subito dopo la bocciatura della delibera di conversione, le azioni di risparmio Telecom sono salite del 3%? Forse perché gli investitori danno per scontato che l’operazione venga riproposta con un margine migliore per chi viene diluito in seguito alla conversione. E intanto pregustano gli effetti che una guerra per il controllo di Telecom potrà scatenare sul mercato.
Difficile una risposta seria alla domanda del momento: cosa succede adesso? Indubbiamente, l’astensione di Vivendi è una secca sconfessione del maggior singolo azionista attuale all’indirizzo di tutto il Consiglio d’amministrazione, del Presidente e dell’Amministratore delegato. In altre condizioni, costoro dovrebbero dimettersi. Ma così non sarà, perché in fondo i vertici Telecom hanno ricevuto un mandato da un azionariato che non comprendeva ancora i francesi, e i nuovi soci non hanno lanciato offerte d’acquisto.
Tra i 10 principali azionisti di Telecom, capitanati da Vivendi, c’e’ anche Thornburg International Value Fund con l’1,94% del capitale, il Canada Pension Plan Investment Board con l’1,17%, il Governo della Norvegia con l’1%, la Slate Path Capital (0,71%) e vari altri investitori istituzionali che oltretutto si sono detti contrari a un ingresso in forze degli uomini di Vivendi nel consiglio Telecom. Ma tutti questi fondi non valgono un grammo di un azionista-imprenditore determinato a comandare in Telecom, come oggi sembra proprio essere Vincent Bollorè.
Quel che succederà l’ha però in parte fatto capire il presidente di Telecom Giuseppe Recchi, il quale non ha escluso una scadenza anticipata del board della compagnia telefonica, oggi prevista con l’approvazione del bilancio del 2016, quindi in occasione dell’assemblea degli azionisti della primavera del 2017.
Recchi ha anche voluto sottolineare come tra lui e l’amministratore delegato Marco Patuano non ci sarebbero contrasti, a dispetto di quanto raccontano da mesi molte fonti ufficiose: “La pianterei lì con questa storia. In più aggiungo che lo scorso 6 dicembre abbiamo anche fatto una smentita che non rifaremo più per una sciocchezza del genere”. Gli ha fatto eco Patuano, che l’ha addirittura platealmente abbracciato. Il presidente ha anche detto a più riprese che si tratta di “fantasie” riportate dai giornali. Un piglio renziano, sarà il vento dicembrino. Ma è un vento che spira dalla Francia.