“Metroweb è come la donna dello schermo di Dante. Se ne parla, per non parlare apertamente del problema vero, che è Telecom Italia. E nella testa del presidente del Consiglio, non esiste uno scenario in cui un gruppo chiave per lo sviluppo economico del Paese come Telecom rimanga sul mercato senza padroni, o con un padrone straniero. Si chiama Telecom Italia, non ‘Telecom comevuoitu'”. È questa la spiegazione che un osservatore di Palazzo, vicino se non interno al “cerchio magico” di Matteo Renzi, dà dello strano balletto andato in scena nelle ultime settimane attorno, appunto, a Metroweb, la società milanese oggi controllata da F2i e dalla Cassa depositi e prestiti che Telecom Italia vorrebbe comprare ma che i due attuali azionisti non vogliono vendere.
Perché non vogliono venderla, se poi ne trattano la vendita? Semplice: avevano (o almeno: le aveva F2i) istruzioni di vendere una quota importante ma non di controllo, diciamo il 30%. Dar modo così a Telecom di “entrare in partita” e fungere da socio-guida dello sviluppo industriale futuro di Metroweb. Ma solo in una seconda fase l’azienda guidata da Giuseppe Recchi e Massimo Patuano avrebbe potuto passare al controllo di Metroweb, una fase distante un paio d’anni, durante i quali la Cassa depositi e prestiti, o un altro “veicolo” direttamente emanazione del governo, avrebbe acquisito gradatamente azioni Telecom sul mercato senza mai sfiorare l’obbligo di fare un’Opa ma abbastanza per far capire al mercato “chi comanda” e avere una forte voce in capitolo nella gestione.
Come mai questo interventismo, questa “rinazionalizzazione strisciante” di Telecom? Semplice. A Renzi la privatizzazione della ex-Sip – era il ’97, lui aveva 19 anni ma se la ricorda bene, e ne ricorda l’impronta prodian-dalemiana – non piacque e non piace. Ritiene, con ragione, che sovraccaricando di debiti la società con l’Opa di Colaninno prima (inevitabile conseguenza della folle decisione di creare un “nocciolino duro” insignificante di soci indifferenti) e la fusione Tim-Telecom poi (ma quanto quest’ultima operazione abbia inciso sul debito è controverso) abbiano tagliato le ali al gruppo. Ritiene che gli abbiano impedito di investire quanto sarebbe stato giusto nella banda larga “fissa”, la famosa rete in fibra ottica, che è appunto il mestiere di Metroweb e che oggi Recchi e Patuano vogliono a tutti i costi sviluppare, ma giocando in proprio, semmai comprando appunto Metroweb, senza però mettere in comune i loro asset con quelli degli altri operatori. Obiettivo, questo loro, del tutto legittimo.
Peccato, però, che per un Paese come l’Italia avere due reti in fibra ottica concorrenti non ha senso, quindi quella di Telecom non solo dovrebbe mettersi insieme con quella di Metroweb ma anche con le altre: da Bt a Infostrada a Vodafone. E invece niente: i vertici del colosso vogliono tenere tutto per sé e vedono come il fumo negli occhi la possibilità di cogestire anche un solo metro di fibra.
Insomma, Renzi – che quanto a interventismo non scherza – vuole sparigliare anche su questo tavolo, e si prepara al blitz. Approfittando, probabilmente, del fatto che tutti gli attuali investitori del vecchio “nucleo duro” di Telecom, racchiusi una volta nella holding Telco e oggi sciolti, hanno annunciato di voler vendere, come pure Vivendi, che presto si ritroverà con l’8% della Telecom ereditato da Telefonica. Tutti vogliono vendere, nessuno vuol comprare: e si può mai permettere che un’azienda storica di questo Paese, la vecchia Sip, titolare di mille primati, con il nome “Italia” scolpito nella ragione sociale, finisca in mani straniere, o spezzettata, o comunque persegua una strategia non correlata con quella decisa dal governo per lo sviluppo delle telecomunicazioni nazionali?
Figuriamoci se Renzi vuol permettere una cosa del genere…