Niente da fare, la storia non è maestra di vita. Quel che sta accadendo sotto gli occhi opacizzati degli italiani è che Matteo Renzi, come da manuale, dopo essersi liberato dei sindacati e aver tramortiti i “corpi intermedi” più solidi del territorio, come le Banche popolari e le Fondazioni bancarie e le Camere di commercio, passa alla conquista dei media, anzi “del” media per eccellenza, la Rai. Con un disegno che presenta come un indispensabile antidoto allo sfasciume di oggi ma in realtà neanche maschera – perché è tutto chiarissimo – un formidabile piano di presa di potere in-di-vi-dua-le su Viale Mazzini.
Basta rileggere alcune delle sue dichiarazioni alla conferenza stampa nella quale ha presentato lo schema della riforma per accorgersene, perché il conducator non maschera il suo pensiero, tanto bastano i giornalisti a mascherarlo per lui. Comprensibilmente, infatti, le domande dei giornalisti si sono concentrate sui criteri di nomina dei nuovi vertici. E qualcuno ha avuto l’indelicatezza di rievocare l’opportunità di introdurre criteri che fossero garanzia di “asetticità” nelle scelte, per esempio il sorteggio tra una rosa di papabili, e che dunque allontanassero la nomina dal potere politico, tutto: non solo quello dei partiti, anche quello del premier. E come ha risposto Renzi? Ci mancava poco che rispondesse come il re Sole: “L’etat c’est moi”, lo Stato sono io.
“Il sorteggio è l’abdicazione della politica di fronte alla realtà: io devo mettere i più bravi, a guidare la Rai!”: chiaro? Lui è “la politica”, è lui che sceglie i più bravi. Non conta se ne è capace o meno. Non conta neanche che lui non sia legittimato dal voto, perché non è un premier eletto. Basta che sia lui in quanto è “il capo”. Affidarsi alle rose dei “cacciatori di teste”, o a un concorso internazionale – come quello che bandiranno per due posticini da commissario Consob, tanto così, per dare un po’ di fumo negli occhi ed emulare un po’ di democrazia – non esiste. Basta: Pittibimbo Renzi comanda lui e sceglierà lui “i più bravi”. Cioè: i suoi amici più bravi, ma questo è implicito, basta vedere cos’ha fatto finora.
“Sentirmi dire che vogliamo cambiare le norme perché vogliamo mettere le mani sulla Rai quando bastava andare alla scadenza del consiglio d’amministrazione per poterne rinnovare la maggioranza è quanto mai fuori dalla realtà”. Anche qui: il sillogismo di Renzi è blindato. Lui fa la riforma dell’Italicum e, con il 36% dei suffragi elettorali (che calcola di poter raggiungere facilmente, tanto più ora che il ritorno in campo di Berlusconi spacca il fronte della destra), sale al 55% dei seggi nell’unica Camera rimasta. Comanda lui, con le opposizioni ridotte a soprammobili. Il suo Parlamento personale – roba che il Cavaliere di Arcore se l’è sognato per vent’anni, è stato solo quell’altro Cavaliere, di Predappio, ad avercelo avuto così bello – voterà quelli che dirà lui. Pensiero unico.
“Noi non immaginiamo che il governo possa nominare da solo il vertice della Rai”, dice però Renzi: mentendo. “Immaginiamo un consiglio più ristretto rispetto a quello attuale, fatto da nove persone, la cui maggioranza sia eletta dal Parlamento in seduta comune, per dire quanto è importante per noi la Rai”. Seduta comune finché ci sono due camere, poi basta.
Infine, il colpaccio: “Il governo ha il dovere di individuare il capo-azienda che deve passare per il voto di conferma del consiglio, e deve esserci uno dei sette consiglieri che sia espressione dei dipendenti Rai”. Et voilà l’obolo alla democratizzazione del sistema: il rappresentante dei lavoratori! Ma ci facci il piacere, avrebbe detto Totò.
Perché tutto questo? Lo spiega, Renzi, con una faccia tosta pari solo all’instupidimento con il quale i partiti e ancor più i media accolgono questi annunci totalitari: “Occorre che non vi sia una continguità della Rai con i partiti e le forze politiche, che porti tutti i giorni, tutte le settimane, su tutte le scelte a dover discutere sentendo il membro della commissione di vigilanza o il segretario di partito”. Ecco qua: in nome dell’efficienza, il consiglio, nominato dal governo e guidato da un capo scelto dal governo, dice sempre sì al governo senza che nessuna “contiguità con i partiti” disturbi il manovratore. Certo, la lottizzazione di sempre ha portato inefficienza, ma almeno – di riffa o di raffa – sui canali Rai trovavano espressione e spazio, chi più e chi meno, da Gasparri alla Gabanelli, da Salvini a La Russa a Vendola. E domani?
Anche no: piuttosto che renzizzata così, sarebbe meglio che la Rai restasse com’è.