Cosa c’è dietro il fidanzamento Vivendi-Telecom e i contatti tra Sky e Mediaset per un’alleanza o, magari, la vendita di Mediaset Premium al colosso controllato da Rupert Murdoch? Per cercar di capirlo, e per carpire anche cosa sta succedendo nel mondo delle telecomunicazioni e delle televisioni, vale la pena partire da un esempio. Poniamo che la famiglia Brambilla decida di andar fuori per il weekend. Al padre piacerebbe la montagna, madre e figli dicono “mare” e naturalmente si decide di andare al mare. Nessuno, per scegliere più razionalmente, pone la questione se sia più bella l’autostrada che porta al mare rispetto a quella che collega la montagna o viceversa. Si punta all’obiettivo: o il mare, o la montagna. Poco conta quale sia la strada migliore, si dà per scontato che si equivalgano.
La stessa cosa sta succedendo nel mondo delle telecomunicazioni e delle produzioni video: non conta per quale autostrada (o compagnia telefonica) si transiti per giungere al contenuto che desidera, quel che conta è arrivarci. Quindi, se io sono un tifoso sfegatato e voglio vedermi la Champions League, che la trasmetta Sky o Mediaset non mi cambia, m’abbonerò a chi la trasmette. E se posso vederla su fibra ottica, anziché montare la “padella” satellitare sul balcone, che la fibra sia di Telecom o di un altro operatore “non me ne può fregare di meno”, quel che conta è vedermi le partite del cuore.
Questa è la ragione per la quale è l’industria dei contenuti a dimostrare grandissima effervescenza (il mare o la montagna), assai più che non quella delle reti di telecomunicazioni (le autostrade). Questa è anche la ragione per la quale Sky guarda a Mediaset Premium, o forse a tutta Mediaset. E Vivendi – grande gruppo francese specializzato nella produzione di fiction e contenuti vari – si ritroverà in pancia l’8% di Telecom come “conseguenza” di un’acquisizione di un’azienda di contenuti, vendutale da Telefonica, più che come obiettivo diretto. Non a caso, fino a pochi mesi fa, il colosso francese si è disfatto delle partecipazioni che aveva nel settore delle tlc… Quindi Telecom, per Vivendi, è un caso, non un obiettivo.
Tutto ciò non deve stupire. Oggi i contenuti “premium”, come li chiamano gli uomini di marketing – ovvero quelli che richiamano più facilmente moltissimo pubblico che costituisce un’audience pregiata per la pubblicità o, ancor più, il pubblico disposto a pagare salati abbonamenti – fanno gola. Soprattutto i diritti sportivi: il calcio, più di ogni altro; e poi anche automobilismo, motociclismo e tennis, molto distanziati. Anche perché mentre la fiction, per apprezzata che sia, dopo un po’ di tempo dalla prima volta che viene trasmessa si può inevitabilmente ritrovare gratis su Internet, gli eventi sportivi vivono solo della diretta, a rivederli non fanno audience. Quindi o hai i diritti per vederli in diretta o niente.
Questo parossismo attorno al possesso dei diritti, sportivi ma non solo, e dei brand più popolati della fiction è appunto spiegato dal boom del “gratuitismo” su Internet. La Rete ha messo a disposizione gratuitamente a tutti una tale messe di contenuti interessati, per quanto spesso inframezzati da molta “fuffa”, da drenare la vera “risorsa scarsa” di questo mercato: il tempo libero della gente. Per questo, chi produce contenuti di qualità, che attraggano audience, o dispone dei diritti esclusivi di trasmissione dei grandi eventi sportivi, oggi sa di essere seduto su una sedia d’oro.
Per ragioni abbastanza inspiegabili, le grandi reti di telecomunicazioni mondiali si sono progressivamente disfatte delle partecipazioni che spesso detenevano in aziende produttrici di contenuti o detentrici di diritti, come ha fatto lo scorso anno Telecom vendendo l’emittente televisiva La7. Il loro ragionamento è stato: non è il nostro mestiere produrre contenuti o negoziare diritti, e d’altronde i nostri clienti vogliono poter vedere tutti i programmi che gli piacciono, chiunque glieli distribuisca, tanto vale non essere titolari esclusivi di nulla e vendere tutto a tutti. Non a caso, il business delle telecomunicazioni rende un po’ meno.
Ai consumatori normali le reti sembrano tutte uguali, e per le esigenze dei più forse lo sono davvero: nessuno sceglie una rete piuttosto che un’altra perché ne coglie le pur esistenti ma marginali differenze tecnologiche, semmai sceglie il prezzo quando riesce a capirci qualcosa tra le diverse ma somigliantissime offerte. Non è detto, invece, che le reti siano uguali anche per le imprese: ma questo è tutto un altro discorso.
Quindi anche in Italia, come del resto in tutto il mondo, i prossimi mesi vedranno in scena un gran “risiko” nel mondo dei media, dove si faranno i soldi veri nei prossimi anni (escluso il settore delle news, che è e resterà boccheggiante, ma questo è un altro discorso), e un processo di concentrazione inesorabile tra compagnie telefoniche che, per restare sane, dovranno fondersi l’una con l’altra.
Si può dire dunque che in Italia Telecom è in cerca di un assetto stabile ed è considerata da tutti una facile preda perché non ha un vero socio di riferimento, né Vivendi diverrà tale. Mediaset è invece considerata facile preda anch’essa perché il socio ce l’ha, eccome, ma non è più l’uomo che era e si è troppo allontanato dall’impresa e ha troppi anni e figli troppo poco calati nel ruolo imprenditoriale da poter progettare un futuro “stand alone” per il gruppo. Prima o poi qualcuno se la comprerà, purtroppo. Magari tra due o tre anni ma accadrà. E nel frattempo avere in pancia buoni programmi e buoni diritti tv sarà sempre e comunque necessario.