Chi di voi sceglie dove andare a fare le vacanze – cioè in quale mare nuotare, quali montagne scalare, in quali boschi passeggiare, quali città e musei visitare – in base alla preferenza per questa o quella autostrada da percorrere per arrivare alla destinazione preferita? Nessuno, c’è da supporre. Si sceglie la meta, poi in qualche modo ci si arriva.
Se questo ragionamento vale per il turismo vale anche per l’intrattenimento. Se uno è patito di calcio e vuole vedersi le partite in diretta, si abbonerà a Sky o a Mediaset Premium o, se è francese, a Canal Plus, a prescindere dal mezzo che deve adoperare per abbonarsi: se occorrerà il “padellone” dell’antenna satellitare, lo installerà, se potrà collegarsi via cavo, opterà per il cavo. Tradotto: l’oggetto della scelta è il contenuto (il calcio, come anche i film preferiti, o l’opera lirica, o i documentari) e non il contenitore (il satellite, il cavo, ecc.).
Questa è la ragione per la quale l’enfasi sull’alleanza “necessaria” tra le grandi aziende produttrici o comunque distributrici di contenuti, come le emittenti televisive, e le compagnie telefoniche è una solenne corbelleria. Ma allora perché Vivendi – il colosso francese che controlla Canal Plus ed è guidato dal finanziere Vincent Bollorè – sta per diventare primo azionista di Telecom Italia con il 15% del capitale?
Non perché abbia scelto di diventarci con chissà quale foga e convinzione, ma perché – o meglio: soprattutto perché – gli è capitato. Telefonica, che dopo lo scioglimento di Telco deteneva, direttamente ormai senza alcuna finalità strategica, un 8% del capitale di Telecom gliel’ha girato come saldo per il pagamento del 100% della compagnia telefonica brasiliana Gvt, che appunto Vivendi deteneva e Telefonica desiderava. Quindi, per capirci: Telefonica ha comprato il controllo di Gvt da Vivendi e ha pagato in parte con l’8,3% di Telecom. Quindi Vivendi si è liberata di una partecipazione di controllo in cambio di tanto denaro (4,6 miliardi di euro) e di un conguagliuccio in natura, pari a circa un miliardo di valore, appunto l’8,3% di Telecom.
Ma davvero salirà dall’8,3% al 15%, come si è letto? Possibile, ma non sicuro. E comunque la cosa non cambierebbe l’evidenza dei fatti: Vivendi è finora uscita dalle partecipazioni telefoniche di controllo che aveva, può darsi che adesso voglia consolidare questa quota “di risulta” che si è ritrovata in Telecom, ma è improbabile che intenda rimettersi a fare il mestiere della telefonista. Tiene la posizione, la valorizza e spera un giorno di venderla meglio di quanto l’abbia comprata.
Già perché – come ha ben detto il presidente di Telecom Italia Giuseppe Recchi – “tutti gli azionisti che portano valore aggiunto sono benvenuti in Telecom Italia, che potrebbe essere acquistata anche da un soggetto pubblico come Cdp, così come Vivendi potrebbe accrescere la sua quota, la società è una public company, chiunque se la può comprare”. E questo fermento sulla proprietà giova al titolo Telecom che sale, sale e sale.
Ma strategicamente, cosa sarà dell’azienda? Sinceramente, Telecom non è mai parsa così ben orientata – strategicamente – come da quando la guida Recchi. Non che la sostanza delle sue condizioni di salute finanziaria e industriale sia cambiata. L’azienda è ancora troppo indebitata per essere del tutto sana e poter esprimere al meglio il suo potenziale. Però la lunga strategia di rientro dal debito perseguita ancora dai tempi della gestione Bernabè e la potenza risanatrice del tempo fa sì che oggi abbia un po’ di margine di manovra in più che in passato, e lo stia opportunamente destinando agli investimenti sulle infrastrutture per la banda larga…Dieci miliardi di euro in tre anni – quanto vale il piano d’investimenti in corso – sono tanti.
Che poi l’azienda non abbia padroni e possa prendere il volo è vero, ma è anche vero che dentro Telecom il governo ha la “golden power”, cioè può sempre bloccare la cessione all’estero di un’azienda che porta il nome del suo Paese, l’Italia, addirittura dentro la ragione sociale, quindi se un domani Vivendi, come ieri Telefonica, volesse far derivare da una posizione finanziaria un ruolo di comando gestionale – tanto più se ostile rispetto agli interessi del Paese – potrebbe doversela vedere col governo…