Primo rilievo: chiedendo a Google “Bollorè media” si ricevono 536 mila risultati; chiedendo “Bollorè Africa” se ne ricevono 407 mila; chiedendo “Bollorè tlc”, 19.800; “Bollorè telecomunicazioni”, 14.500; chiedendo “Bollorè telecommunication” 150 mila.
Secondo rilievo: sulla scrivania del cronista, nella posta del giorno, risalta una busta pubblicitaria, l’ennesima, periodica, da una decina d’anni: “Il grande cinema di Sky incontra internet ultraveloce di Fastweb a un prezzo spettacolare”.
Prima sintesi. Gli interessi di Bollorè sono in Africa e nei media, alla pari; poco nelle telecomunicazioni.
Seconda sintesi. Mentre analisti finanziari e industriali straparlano di convergenza tra media e tlc, i fatti si sono incaricati da anni di dimostrare che questa convergenza di business semplicemente non esiste, perché ad esempio Fastweb e Sky che da anni vendono “a pacchetto” i loro servizi, ne hanno ricavato ben poco sugo. La gente compra i contenuti dove riesce a comprarli, nessun tifoso che voglia godersi le partite di Champions League esita ad abbonarci a Sky quando le vince Sky, e poi a passare a Mediaset Premium quando prevale quest’ultima. Non è la rete a guidare, è il contenuto. Quando hai i contenuti, sono le reti che t’inseguono, ti contendono, non sei tu che hai bisogno delle reti.
Pensare che la proprietà di una rete di telecomunicazioni sia utile a chi produce contenuti per venderne di più è come pensare che Marchionne per vendere più auto dovrebbe comprarsi l’Autostrada del Sole. Una scemenza. Ma allora perché se ne parla tanto?
Analisti e giornalisti ne parlano perché è il loro mestiere, ma non vuol dire assolutamente che sia giusto e rilevante parlarne come di una cosa vera e significativa.
La finanza ne parla perché vuol far soldi sulle attese speculative legate alle mosse di Bollorè in Telecom. Ma il francese si trova socio di Telecom perché è un finanziere opportunista, gli è caduto nel piatto a prezzo vile l’8,3% del gruppo italiano leader nelle telecomunicazioni e ha subito deciso che non era il caso di sputarci sopra, anzi era meglio arrotondare e con poca spesa diventare il nuovo socio di riferimento di un gruppone, un tempo pubblico, che porta nella ragione sociale il nome “Italia” e che l’insipienza di Prodi prima e Mediobanca poi hanno spinto tra le braccia non solo di azionisti di riferimento stranieri, ma soprattutto (e purtroppo) di azionisti stranieri del tutto disinteressati al business delle telecomunicazioni in Italia, Telefonica ieri e oggi Vivendi.
È la solita storia dei francesi in Italia. Quando nel 1492 il re di Francia Carlo VIII fu invitato da Ludovico il Moro in Italia affinché detronizzasse dal regno di Napoli gli odiati (e deboli) aragonesi, si ritrovò la strada spianata, dal Monginevro in giù, da un’impressionante serie di asservimenti preventivi da parte dei regimelli i cui territori attraversava. Sia i piemontesi che i lombardi e i papalini si inchinarono al suo passaggio, lo aiutarono e lo finanziarono, tanto che proprio Papa Alessandro VI, non senza ironia, coniò la famosa sintesi: «Il Re di Francia ha conquistato l’Italia col gesso», il gesso usato dalle sue soldataglie per segnare sulle porte le case dove mandare le truppe a dormire. I casi finanziari degli ultimi anni – dalla Edison a Cariparma alla Parmalat e oggi a Telecom – fanno pensare all’epopea di Carlo VIII.
Questo non vuol dire che a Bollorè non importi nulla di Telecom: anzi. L’ha presa con poco, vuol giovarsene molto: come moneta di scambio, come roccaforte per comprare Mediaset Premium o tutta Mediaset (che sarebbe una mano santa per i giovani Berlusconi, a tutta evidenza inadeguati alla successione di un padre geniale ma in disarmo) o come investimento finanziario da smobilizzare al miglior guadagno. Chissà, si vedrà: “come” ricavarne quattrini è ancora da decidere, che da Telecom Bollorè ne ricaverà tanti è poco ma sicuro.
E che c’entra l’Africa? C’entra, perché l’altra faccia del finanziere bretone è quella di un signore con sullo stomaco setole d’acciaio, che come business prevalente finora del suo gruppo ha scelto la logistica mercantile nel continente nero: come dire che su ogni chilo di merce che parte dai porti africani verso il mondo c’è un suo aggio che lascia poco e niente ai popoli locali salvo qualche asilo nido e qualche altra belluria pseudo-solidale. Un business che richiede nella migliore delle ipotesi -che sarà senz’altro quella di Bollorè, sia scritto a scanso di querele – la capacità di respingere le continue richieste di tangenti che arrivano dalle pseudo istituzioni africane; e nella peggiore delle ipotesi, che non riguarderà giammai l’immacolato Bollorè, richiede la disinvoltura necessaria per accordarsi sulle percentuali.
Evviva la finanza innovativa a gestire i telefoni italiani. Non c’è limite al peggio.