Carlo Ottavo, re di Francia, aveva conquistato l’Italia col gesso, cioè senza sparare un solo colpo di cannone, ma la sua conquista fu effimera, perché le vicende dell’Italia di quell’epoca ne travolsero le mire espansionistiche. Vincent Bolloré ha invece di fatto comprato Telecom Italia senza quasi fare una piega. Si è ritrovato in pancia un 8% del capitale come componente “in natura” del prezzo spuntato dalla sua Vivendi per cedere a Telefonica un’importante attività in Brasile. A quel punto, veloce com’è, ha esaminato la situazione e ha capito che con poca spesa poteva salire nel capitale della “ex-Sip” e consolidarsi nel ruolo di socio-guida. Detto fatto, è salito fino al 15% e salirà al 20%. Senza che nessuno faccia una piega…
Dopo tanti dibattiti sul rischio che inavvertitamente Telecom diventasse spagnola, imperversati quando il 22% del gruppo era della holding Telco dentro la quale Telefonica aveva il 46% ma nulla poteva senza il consenso dei soci italiani che avevano il 54%, oggi che Vivendi è direttamente il primo azionista in Telecom tutto passa in cavalleria. Che strano.
E come spesso accade in questi casi, ci si concentra sulle questioni di contorno, che finanziariamente non sono quisquilie ma strategicamente sì. Gli analisti finanziari, ad esempio, sono tutti in fermento all’idea che Cellnex voglia comprare le torri di Telecom, riunite in Inwit. Anche una cessione di appena il 30% potrebbe fruttare circa 0,8 miliardi di euro, dicono quelli di Akros. Mentre gli economisti di Icbpi sono stupiti che Vivendi, a quanto riferito da Patuano, non abbia espresso alcuna opinione sulle strategie di Tim Brasil, gioiello della corona Telecom. Come mai? Si pensava che Vivendi volesse promuovere l’uscita o il ridimensionamento del ruolo di Telecom Italia in Brasile, per fare cassa, ma altri pensano che al contrario per la partecipata carioca di Telecom sia il momento di crescere assorbendo concorrenti in difficoltà.
L’impressione è che lo scenario attraente per Bolloré sia e rimanga l’Europa, con la possibilità di sfruttare i clienti tlc di Telecom per fidelizzarli offrendo loro a condizioni vantaggiose i contenuti editoriali prodotti da Canal Plus. Peraltro Bolloré sembra sostanzialmente tranquillo sulla gestione di Telecom, visto che per ora non ha richiesto di cambiare il consiglio per esservi rappresentato quanto il suo pacchetto azionario giustificherebbe, anche con i due terzi dei consiglieri, cioè.
Come mai tanta flemma? C’è qualcosa sotto. Si può graniticamente escludere che Bolloré non abbia intenzione di usare alla grande questa posizione di forza conquistata così facilmente in Telecom. È chiaro che ha qualcosa in mente e non ritiene ancora maturi i tempi per agire.
Già: ma allora cos’ha, in mente? C’è chi azzarda una risposta forte: una fusione Telecom-Mediaset, dalla quale il suo vecchio amico Silvio Berlusconi, o meglio la sua famiglia, consegua una posizione di poco meno forte di quella di Vivendi, conferisca alla rete Telecom i suoi contenuti a formule privilegiate di veicolazione “wired”, cioè via cavo o satellite, e dia stabilità di controllo all’insieme, in cambio di un passaggio dall’attuale ruolo di azionista guida del colosso televisivo che il Cavaliere ha fondato – ruolo ormai non più adatto a lui e mai stato adatto ai figli – a un ruolo di azionista finanziario, che incassa cedole, esprime indirizzi, ma è libero dell’onere quotidiano della gestione, delle tattiche e della stessa strategia.
In attesa che questi scenari prendano corpo, è probabile che Bolloré prema un po’ perché Telecom acceleri la ristrutturazione del debito e l’implementazione della rete in fibra, due processi antagonisti tra loro perché il primo contrasta il fabbisogno d’investimenti accentuato dal secondo; ma non è l’ordinaria amministrazione che attira l’interesse di Bolloré. Non lo è mai stata, in nessuno dei molti business che lo spregiudicato miliardario francese ha gestito e gestisce.