Problema. Il signor Rossi, un pizzicagnolo, ha due figli e, quando diventano maggiorenni, apre per loro due nuovi negozi, che riscuotono entrambi un buon successo, conservando però per sé la proprietà di tutto. Dopo qualche tempo il figlio maggiore compra un’affettatrice Kernel, bellissima. E dopo un altro po’ di tempo l’altro figlio gli propone di comprargliela. Il pizzicagnolo concorrente, che sta al di là della via, si presenta dal giovanotto che ha la Kernel e gli dice: nossignore, vendila a me, ti faccio un’offerta migliore. Dica il candidato quale decisione e perché deve essere presa dal signor Rossi.
Ecco: prima di proporre la soluzione migliore a questo semplice problema, forse troppo semplice anche per l’esame di maturità dell’Istituto tecnico industriale, chiariamo subito che Matteo Renzi verrebbe bocciato. E ora vediamo perché. Il pizzicagnolo signor Rossi è il Governo, i due negozi sono l’Enel e il Fondo strategico italiano, l’affettatrice è Metroweb. Ebbene, il governo, che attraverso il ministero dell’Economia controlla l’Enel e attraverso la Cassa depositi e prestiti – cioè, senza offesa, attraverso un complicato ma banale scatolone-portafoglio e porta-ordini – controlla direttamente e indirettamente Metroweb, dimostra di non saper fare come farebbe il pizzicagnolo: cioè riunire un bel consiglio di famiglia tra il padre e i due figli e decidere nell’ordine: a) se l’affettatrice può essere venduta a un estraneo o no e in tal caso a che prezzo; b) se invece non va venduta e allora quale dei due fratelli è più bravo a usarla, o come possono fare per usarla insieme visto che entrambi vogliono affettare.
Perché il governo non fa una cosa così semplice, che la famiglia Rossi farebbe subito? Perché, uscendo dal gioco metaforico, decidere al vero vertice – cioè appunto in sede politica – chi tra Enel e Metroweb, restando nell’orbita delle imprese a controllo pubblico, deve e può occuparsi di reti digitali o in che modo possono cooperare nell’occuparsene, significherebbe fare politica industriale; il che significa però, per star dietro a qualche euroburocrate demente e a qualche avvizzito ideologo tardo-capitalistico liberista autore di recenti libri inutili, dire una parolaccia.
Non è una parolaccia. È patetico che oggi il Fondo strategico italiano, cioè la Cassa depositi e prestiti, che – ripetiamolo – controlla in trasparenza la maggioranza assoluta di Metroweb stia lì a dover decidere se accogliere l’offerta d’acquisto dell’Enel o quella di Telecom, offerta, quest’ultima, davvero temeraria sotto il profilo della concorrenza, perché acquistando la pur ancora piccola rete di fibra ottica di Metroweb, l’ex Sip si troverebbe più che mai in posizione di monopolio infrastrutturale su tante piazze italiane a cominciare da Milano, ma anche a Genova, Bologna e Torino.
Se Metroweb venisse venduta all’Enel i soldi pubblici che uscirebbero da una tasca dell’ampio paltò statale, appunto dalla tasca dell’Enel, rientrerebbero in un’altra tasca pubblica, quella della Cassa depositi e prestiti, sia pure attraverso il suo accrocchio di fondi controllati o partecipati. I soldi di Telecom, invece, sarebbero un introito vero e netto, dall’esterno del perimetro della Pubblica amministrazione.
Ma del resto, se con l’Operazione Open Fiber l’Enel vuole ridarsi un ruolo nell’infrastrutturazione digitale del Paese, e per riuscirci deve richiamare un generale della riserva come il bravissimo Tommaso Pompei, l’uomo che creò da zero Wind, riconoscendo con ciò di aver bisogno di un 74enne per guidare il business delle telecomunicazioni, non era forse il caso che l’Enel affidasse a Metroweb il compito di cablare l’Italia, visto che in Metroweb lo saprebbero svolgere al meglio e hanno un eccellente e giovane management?
E ancora: è pensabile che la “next generation network”, cioè la rete di telecomunicazioni in fibra ottica, sia proprietà francese su terra italiana? Non sarebbe meglio – se non espropriarla a Telecom, come avrebbe voluto fare Prodi nel 2007 con il “Piano Rovati” – almeno affiancarle una rete a baricentro pubblico? Tanto più che poi lo Stato è costretto a fare le gare per i lavori di cablaggio delle aree “a fallimento di mercato”, dove nessun operatore privato andrebbe a investire senza i contributi pubblici?
Prudenza e buon senso vorrebbero, appunto, che l’occasione del piano Open Fiber di Enel – gruppo serio e ben gestito – venisse colta dallo Stato per recuperare un ruolo non nella gestione dei servizi telefonici, ormai privatizzata quasi ovunque, ma nel controllo e nella gestione della rete telefonica, sia di trasporto che di distribuzione, quindi sia le dorsali in fibra ottica che gli allacciamenti di quartiere. Perché è su questa rete che si potrebbe insinuare ogni genere di insidia per gli interessi comuni della collettività nazionale – insidia terroristica, militare ma anche più verosimilmente e prosaicamente economica – ed è impensabile che le decisioni su come fronteggiare queste eventuali insidie vengano prese da signori stranieri, fuori Italia, privi di qualsiasi remora rispetto all’Italia, e non tanto in quanto stranieri di passaporto, bensì perché, come Vincent Bollorè, centrati all’estero nei loro interessi prevalenti.
Ma appunto: da quando l’ex ministro Salvatore Cardinale, nel 2001, iniziò a discutere con i suoi consiglieri sulla natura privatistica o pubblicistica della rete, e poi se ne discusse nel 2007 col piano Rovati, voluto dall’ex premier Romano Prodi, e poi ancora con il tavolo Romani, costituito nel 2010 dall’ex premier Berlusconi, su questo tema si sono fatte solo chiacchiere.
Tifare per l’Enel potrebbe sembrare la logica conseguenza di questo ragionamento, ma non lo è, o meglio dipende. Che sia l’Enel ad acquistare Metroweb, a parte le stramberie procedurali che neanche un pizzicagnolo farebbe, può essere un vantaggio per il Paese soltanto se quest’acquisto corrisponde a un impegno strategico a lungo termine a realizzare, conservare sotto la proprietà pubblica e gestire al meglio una rete di telecomunicazioni a banda larga, completa e alternativa a quella privata di Telecom, in una logica da “multiutility”, cavalcata con lungimiranza da Franco Tatò, nel suo decisivo mandato gestionale in Enel alla fine degli anni Novanta.
Diversamente, no: se l’acquisto di Metroweb dev’essere soltanto un altro giro di giostra dopo il quale l’Enel vende la sua rete al solito straniero (e del resto, tra i capitalisti italiani, chi compra più niente in Italia?) per “aumentare il valore per gli azionisti”, grazie: anche no. Tanto vale che se la compri subito Telecom.