Tramontato un pretendente, ecco spuntarne un altro, e forse con sembianze più convincenti: è in ballo Versalis, il gruppo industriale che racchiude la chimica Eni, e che è già stato oggetto di un lungo e vano negoziato conclusosi proprio nei giorni scorsi senza esito con il fondo americano Sk Capital. Ebbene, Versalis è di nuovo nel mirino di un pretendente americano che, secondo fonti di prima mano, ha avuto il buon senso di farsi vivo, contemporaneamente, sia con l’Eni che col suo azionista di riferimento, il governo: è il fondo Kps Capital Partners, che pochi giorni fa ha fatto arrivare al vertice dell’Eni, a Palazzo Chigi e al Ministero dello Sviluppo economico una lettera con una manifestazione d’interesse formale per l’acquisizione della maggioranza di Versalis.

Per carità, niente di più: una manifestazione d’interesse, per formale che sia, non autorizza a pensare che Eni e i rappresentanti pro-tempore del suo azionista di controllo (lo Stato) debbano per forza prenderla in considerazione: dipenderà da molte variabili; ma la lettera – come risulta al Sussidiario – è effettivamente pervenuta ai destinatari istituzionali, e di sicuro l’approccio dei mittenti è stato garbato e il loro profilo appare autorevole.

A esaminarla in dettaglio – spiega chi ha letto il documento – la cosa più interessante che connota questa manifestazione d’interesse è la combinazione particolare tra la solidità patrimoniale e la “natura” istituzionale di Kps. La famiglia di fondi che fa capo a questa società di gestione, infatti, hai oltre 5,4 miliardi di dollari di patrimonio e un portafoglio investito interamente in industrie manifatturiere prevalentemente siderurgiche e metalmeccaniche, con 90 stabilimenti in oltre 20 nazioni, circa 41 mila dipendenti e 5 miliardi di dollari di ricavi.

Ma la vera particolarità è che a controllare Kps sono, sostanzialmente, i sindacati americani dei settori automobilistico e siderurgico, desiderosi oggi di diversificare il rischio allargando il portafoglio anche al settore chimico. Non a caso, con orgoglio, nell’autopresentazione istituzionale il fondo si vanta di “lavorare con i sindacati” e di “aver dimostrato la capacità di vedere valore là dove altri non l’avevano saputo riconoscere”.

Kps Capital manifesta dunque – per la firma di uno dei partner, Raquel Palmer – la propria disponibilità a sedersi da subito al tavolo di una trattativa per la maggioranza di Versalis e, a suffragio di quest’ambizione, ricorda il track-record molto qualificato che può vantare, dimostrato dalla collaborazione con varie grandi multinazionali dalle quali – proprio come accadrebbe con l’Eni nel caso di Versalis – ha rilevato in passato attività non-core rilanciandole validamente.

È evidente che una proprietà di tipo collettivo, vicina ai sindacati, potrebbe garantire quell’attenzione agli aspetti sociali – sempre così rilevanti in questo genere di grandi compravendite – che proprio negli Stati Uniti il colosso sindacale Uaw ha recentemente gestito con successo nel caso Chrysler, affiancando la Fiat nell’acquisizione del gruppo e nella gestione del suo rilancio.

Sulla carta, insomma, il profilo del nuovo pretendente sembra avere una congruità molto maggiore, rispetto all’operazione, di quella che l’Eni e il governo hanno cercato invano nello sfumato interlocutore Sk Capital. Il gruppo petrolifero pubblico, infatti, ha tra i propri criteri guida quello della sostenibilità sociale e non cerca un compratore purchessia, pur di disfarsi di Versalis, ma un acquirente credibile, industrialmente ferrato e consolidato, disposto a garantire il piano d’investimenti da circa 1,2 miliardi di euro in tre anni che si considera necessario per garantire il rilancio dell’attività.

La soddisfazione espressa dai sindacati italiani sull’interruzione delle trattative tra Eni e Sk Capital nasceva appunto dalla netta sensazione che quel fondo non corrispondesse minimamente all’identikit del nuovo, ideale azionista di controllo gradito per Versalis. Se invece dalla lettera di Kps nascesse una trattativa nuova e concreta, la natura stessa del nuovo interlocutore sarebbe sicuramente più adatta – anche se, certo, non automaticamente idonea – per incrociare anche il punto di vista, e le sollecitudini, dei sindacati.