“Se assumiamo una quota di mercato del 6% per Iliad e un calo dell’Arpu del 3%, questo potrebbe impattare per un -0,5% sui ricavi del gruppo Vodafone e fino a un -1,6% nel caso di Telecom Italia”: fermi tutti, cos’è questa frase sconnessa? Di che si parla? L’unica cosa che si capisce è che si parla di telefoni. E allora?
Andiamo con ordine: significa, in sostanza, che i prezzi delle telefonate fatte dagli italiani con i cellulari si ridurranno e che le compagnie telefoniche (ne sono citate tre: Telecom, Vodafone e Iliad, ma quest’ultima non è ancora attiva in Italia) ci rimetteranno quattrini. E inoltre questa frase sconnessa, letta in controluce, significa, alla fine di un lungo ragionamento, che in Italia nel settore telefonico si rischia di perdere molti posti di lavoro. Cerchiamo di capire perché.
La frase, scritta in “analistese” stretto — la lingua barbarica degli analisti finanziari — è estratta da una ricerca stilata dalla Barclays, importante banca inglese, sul mercato italiano della telefonia mobile italiano come si presenta all’indomani dell’ok europeo alla fusione tra Wind e H3G (cioè 3Italia). Scontato il gergo è una frase chiara e frasi simili si leggono anche nelle ricerche di altre banche, che pure prevedono lo stesso effetto: telefonate medie meno care e compagnie telefoniche meno profittevoli.
Perché l’ok a quella fusione è stato condizionato da Bruxelles ad una clausola clamorosa, cioè l’ingresso in Italia della compagnia telefonica europea specializzata nella telefonia mobile più “aggressiva” che esista, una vera e propria “Ryan Air” dei telefoni: appunto Iliad, un’azienda francese, che in Francia — dove ha iniziato a operare dal ’99 col marchio “Free” (che tra l’altro in italiano suona molto simile al marchio Tre”) — ha sbancato. Ha rotto i prezzi al ribasso, fino a conquistare un’ottima posizione di mercato, con oltre 12 milioni di abbonati totali, pari al 17%. E con questi clienti, Iliad macina bei profitti: 800 milioni di euro lordi nei primi sei mesi del 2016, per cui ha stanziato tranquillamente 1,5 miliardi senza difficoltà per comprare in Italia gli “asset” (le antenne trasmittenti, essenzialmente) che Wind e H3G, dopo essersi fuse, saranno obbligate da Bruxelles a cedere loro, con le relative frequenze e i diritti di “roaming” a prezzi stracciati, cioè la possibilità di connettersi alle reti dei concorrenti dove non arriva la propria, con in più il diritto di non indicare questa circostanza sui display degli smartphone dei propri clienti, che così non si renderanno conto che in quel punto non saranno gestiti dal loro gestore! Per Iliad, una pacchia.
Come mai Iliad pensa di poter praticare prezzi concorrenziali in Italia? Semplice: investendo da zero potrà scegliere le ultimissime tecnologie che le consentiranno di risparmiare sul personale, mentre i concorrenti sono obbligati a sfruttare al massimo le tecnologie installate prima di cambiarle. E a tagliare posti, ma questo lo capiremo meglio in seguito.

Ecco perché gli analisti della Barclays prevedevano un “calo dell’Arpu”. L’Arpu è la parola chiave del business della telefonia, che significa “Average revenues per user”, cioè fatturato medio per utente. La banca prevede che l’avvento sul mercato di Iliad, anche con solo una quota del 6% (contro il 10% che l’azienda ambisce ad acquisire) farà calare l’Arpu di tutti i “telefonici”, costretti a inseguire il ribasso dei prezzi.
Ed è a questo punto che le buone notizie finiscono: perché il risparmio dei clienti, grazie alla compagnia low-cost che arrivando sul mercato fungerà da calmiere su tutti i prezzi, si tradurrà non in un taglio degli utili e dei dividendi degli operatori, come sarebbe etico e giusto, ma in un taglio brutale dei loro costi. Costi soprattutto di personale. Il sindacato non ha denunciato questo rischio, perché dorme. Ma è questione di poche settimane e poi si comincerà a capire come stanno realmente le cose.
A cominciare proprio dalla società figlia della fusione tra Wind e H3G. La fusione era stata progettata, ormai due anni fa, proprio per impedire che proseguisse la gara al ribasso sui prezzi che fino a quel momento (poi anche negli ultimi mesi) Wind e 3Italia si facevano l’una contro l’altra. Costringendo in parte anche Telecom e Vodafone a “stare calmine”… Poiché Wind è piena di debiti e pur producendo utili industriali ottimi non riusciva a farseli bastare per rimborsare questi debiti; e poiché H3G non aveva debiti ma non guadagnava abbastanza per pagare sia le tasse sia i dividendi; ecco che gli azionisti dei due gruppi (rispettivamente i russi di Vimpelcom e i cinesi di CkHutchison) hanno deciso di fondere le loro due aziende per porre termine a quella guerra dei prezzi, rialzandoli tutti, e tagliare un po’ di costi. Solo un po’. Sollievo generale anche da Telecom e Vodafone, che a loro volta pregustavano di rialzare di conseguenza  anche i loro prezzi. E guadagnare di più.
Peccato che a Bruxelles la commissaria alla concorrenza, Marghrete Vestager, non ha l’anello al naso e ha capito perfettamente — nonostante, si può supporre, i giuramenti mendaci della sua controparte, che garantiva di non rialzare i prezzi — che quello sarebbe stato l’esito della fusione. Un generale rincaro delle tariffe. E dunque ha autorizzato la fusione solo alla condizione che venisse ripristinato ciò che tutti gli operatori — sia i due promessi sposi che gli altri — volevano eliminare, cioè la presenza sul mercato di un quarto operatore low-cost, ruolo appunto ricoperto fino ad oggi soprattutto da 3Italia e un po’ anche da Wind.

Logica avrebbe voluto che a questo punto i due gruppi rinunciassero a fondersi. Ma questo sarebbe accaduto in un mondo perfetto dove i manager dovrebbero essere consapevoli delle loro responsabilità morali e i loro azionisti, non avidi, disposti a rinviare il momento di guadagnare, anche perché se finora non hanno mai guadagnato è stato solo per colpa dei loro calcoli previsionali sbagliati, non certo dei clienti che ora invece, secondo loro, avrebbero dovuto pagarne le spese. Invece no. Il mondo è imperfetto e così azionisti e management delle due aziende promesse spose hanno deciso di sposarsi comunque, cercando i conseguenti vantaggi non più sul piano dei prezzi ma su quello dei risparmi dei costi. Speriamo che ci siano molti costi da risparmiare sul fronte delle tecnologie. Ma certamente molti risparmi deriveranno anche dai tagli al personale. Quanti? E’ la vera domanda che dovrebbero fare oggi ai promessi sposi innanzitutto i sindacati e poi anche il governo e l’autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni, un business regolato e in concessione, che quindi dovrebbe tenere in massima considerazione le conseguenze sociali dell’agire degli operatori.
Già: insieme, Wind e H3G totalizzano circa 10mila lavoratori. In questo momento, in qualche cassetto chiuso a chiave, c’è un documento segreto dove è stato scritto quanti tagli dovranno essere fatti per far quadrare i conti. E’ auspicabile che siano pochi. E’ presumibile che siano tanti. E’ indispensabile che se ne discuta, e subito.