Da quando Freud ci ha spiegato l’importanza dei sogni, abbiamo ricominciato a dare importanza a queste esperienze della nostra vita che avevamo preso a deridere o a sottovalutare. Ma in verità da sempre nella grande letteratura e nei racconti fondativi dell’epica i sogni sono stati momenti privilegiati di contatto con il Mistero, momenti di una coscienza umana che a tratti si apre a un’altra dimensione non meno reale di quella quotidiana.



Il sogno di Giuseppe, che vedremo al Meeting di Rimini questa sera (in Fiera, Padiglione D1, Auditorium, alle 21:30), è l’esplorazione che Luca Doninelli fa di uno di questi istanti di coscienza che hanno consentito l’irruzione del Mistero nella vita degli uomini. E la curiosità originante il racconto riguarda proprio il sogno come esperienza di verità profonda, come capacità dell’uomo di cogliere ciò che da svegli si può solo intuire o presentire: il destino che bussa alla nostra povera porta e che implora il nostro sì.



Ma cominciamo da capo.

Doninelli racconta che tutto cominciò quando gli capitò fra le mani una statuetta devozionale, molto diffusa nella cultura religiosa sudamericana, raffigurante un San Giuseppe dormiente: papa Francesco medesimo si raccomanda a lui per le cause impossibili infilando un biglietto con la richiesta sotto il suo cuscino di gesso. Ma qual era l’impresa impossibile che ha compiuto questo uomo mite, tranquillo, buono, questo giusto d’Israele, questo timorato di Dio?

Dormire.

Doninelli infatti si pone, immedesimandosi, questa semplice domanda: ma come ha fatto a dormire quell’uomo dopo che la sua giovanissima sposa gli ha annunciato di essere incinta del figlio di Dio secondo la parola di un angelo apparsole presso la fonte? Anche per un uomo buono la vicenda deve essere suonata piuttosto bislacca. Molta letteratura e filmografia si è esercitata infatti sulla sua presunta reazione umana, sulla sorpresa e sulla presunta ribellione. Abbiamo visto un Giuseppe che chiama Dio al tribunale della giustizia umana, o ferito nell’orgoglio maschile, o impaurito dalla derisione dei suoi pari. Niente di tutto ciò compare nel racconto di Doninelli: l’uomo continua la sua giornata lavorativa e alla sera va a dormire come tutte le altre sere. Ma che razza di uomo è uno così? Anche Dio sa che gli deve delle spiegazioni, e ben documentate! E dalla storia biblica sappiamo che le spiegazioni vengono portate o dai profeti o dagli angeli. E gli angeli appaiono in sogno. Ma per sognare occorre dormire! Ecco il punto.



Ci vuole una grande immedesimazione per cogliere questo dettaglio, apparentemente così banale. Eppure se ci pensiamo è del tutto plausibile: il sogno di Giuseppe è una specie di miracolo, un miracolo della fiducia, il miracolo della fede.

Come può nascere una fede così desiderabile in un uomo semplice, in un carpentiere della Galilea? Ci vuole una storia intera, risponde Doninelli nel suo racconto.

Per essere in grado di accogliere l’imprevedibilità di Dio occorre l’educazione secolare di un popolo, occorre il paziente appostamento da amante che Dio ha compiuto col suo popolo prediletto. Per quel “sì” del carpentiere e per quel “sì” libero della sua sposa fanciulla, Dio ha creato il mondo, ha scelto un popolo, ha convissuto con esso per un millennio, ha suscitato patriarchi e condottieri, re e profeti. Tutto ha fatto affinché nascessero cuori liberi al punto di accettare la sua imprevedibilità, il suo spesso scandaloso modo di rivelarsi come inaudita risposta al nostro anelito di felicità. Il suo strano amore. 

Questo è il tema del monologo scritto da Doninelli e magistralmente interpretato da Maurizio Donadoni, uno dei più intensi attori del teatro italiano. Con lui in scena Walter Muto alla chitarra, che ha anche scritto le musiche originali, e Carlo Lazzaroni al violino.

Naturalmente Donadoni non interpreta Giuseppe: Giuseppe non dice una sola parola nel Vangelo. E anche qui non parla. È l’angelo Gabriele che ne racconta le gesta, anzi, i gesti quotidiani, pazienti, coscienti, intelligenti. E da angelo se ne stupisce, perché questo miracolo da uomini è sorprendente persino per gli angeli. Prepara la ragione umana ad allargarsi oltre i suoi confini fino ad accettare lo scandalo più inconcepibile che Dio ha scelto per comunicarsi: la croce.

Il reading che vedremo a Rimini è come un sentiero di montagna: semplicissimo nel suo svolgersi passo dopo passo, eppure ricco di squarci panoramici improvvisi, di fiori nascosti, di passaggi pericolosi. Come tutte le esperienze più vere interpella ciascuna persona presente a fare la sua parte, a immedesimarsi come ha fatto l’autore, e l’attore, e i musicisti. Allora appaiono quei lati nascosti che sono anche i più interessanti. Durata un’ora. Imperdibile!

Sarà un momento importante infine anche all’interno del percorso del Meeting ’21 in cui si lavora intorno al tema “Il coraggio di dire io”. C’è forse un “io!”, un “eccomi!” più radicale di questi detti da Maria e dal suo sposo Giuseppe? Capofila di tutti gli “Eccomi” che sono poi seguiti lungo la storia fino a noi di fronte alla non prevedibile provocazione del reale. Fino all’ultima e pervasiva da cui stiamo faticosamente emergendo proprio adesso sotto la forma così subdola di un virus. Eppure ci vuole la stessa disponibilità, la stessa apertura, la stessa libertà. La stessa educazione.

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