Giovanni è un regista. Paola una produttrice. Giovanni gira un film ambientato nel 1956, scrive un film “Il nuotatore” di Cheever e immagina un film con tante canzoni. Da qui prende le mosse “Il sol dell’avvenire”, il ritorno del vero Nanni Moretti. In sala con 01 Distribution e prossimamente protagonista in concorso al Festival di Cannes, il quattordicesimo film del regista di Bobbio è travolgente nella sua leggerezza e, a là Quentin Tarantino, prova a riscrivere la storia del Pci, lasciando intendere che nel 1956 Togliatti avrebbe potuto optare per posizioni diverse a proposito dell’invasione sovietica dell’Ungheria.
A due anni del dimenticabile “Tre piani” tratto dal romanzo di Eshkol Nevo, Nanni Moretti è tornato a riflettere sui temi a lui cari: dalla politica all’amore, passando per la musica e lo stile. Senza dimenticare il cinema, qui affiancato dalle piattaforme digitali tra slow burner e what-the fuck. L’età che avanza, il talento che si consuma, l’ironia e la malinconia, con gli immarcescibili tic che lo hanno reso famoso. Attraverso l’espediente del film nel film come in “Aprile”, “Il Caimano” e “Mia madre”, il sessantanovenne si mette a nudo e si lascia trasportare dalla nostalgia, da ciò che è stato e che forse non sarà più.
Con fortune alterne, Moretti è sempre stato interprete del suo tempo. La sua filmografia si può leggere come una sorta di lungo racconto con protagonisti volti ormai familiari e con ossessioni che tornano ciclicamente. Talvolta moralista sino all’esasperazione, ha sempre parlato di sé attraverso le cose che lo riguardano – dal calcio alla torta Sacher – snocciolando idiosincrasie e passioni in contesti sociali, familiari e politici comuni a tutti. Insieme a Marco Bellocchio, Moretti è uno degli ultimi grandi autori in Italia e l’unicità del suo cinema «divertente ma che fa soffrire», ricco di personaggi beckettiani, lo rende un punto di riferimento per tanti cineasti in giro per il mondo, Francia in primis.
“Il sol dell’avvenire” non è un film testamentario – per fortuna – ma è un film che riflette sul cinema nannimorettiano, un viaggio tortuoso iniziato quarantasei anni fa e fatto di quattordici film. Un’opera che avrà ottimi risultati al botteghino anche grazie ad un altro talento del regista, ovvero la capacità di polarizzare e sfruttare l’interesse dei media: nessun regista in Italia è capace quanto lui a fare parlare di sé. «Diciamo che con questo lavoro chiudo questa prima fase della mia carriera, a cui probabilmente seguirà la seconda di un’altra cinquantina d’anni e forse una terza». Moretti è così, prendere o lasciare.
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